L’ultimo ad adottare il divieto è stato il Canton Ticino. Il primo luglio scorso nel cantone di lingua italiana, il più meridionale della Svizzera, è entrata in vigore la legge anti-burqa approvata il 22 settembre 2013 dal 65,4% degli elettori. Roberto Torrente, capo della polizia di Lugano, ha promesso moderazione nell’applicazione delle nuove norme che vietano alle donne musulmane di «dissimulare o nascondere il proprio viso» nei luoghi pubblici. Per chi trasgredisce sono comunque previste multe comprese tra i 100 e i 10.000 franchi svizzeri (tra i 92 e i 9.200 euro).

«Useremo il buon senso», ha assicurato Torrente. «Non faremo subito una contravvenzione ma provvederemo a un riconoscimento della persona. Se dovessimo fermarla una seconda volta procederemo secondo i disposti della legge». Prima della Svizzera, il primo giugno era stato il consiglio comunale di Burgas, città bulgara che si affaccia sul Mar Nero, a sancire il divieto di indossare il burqa nei luoghi pubblici, seguendo così quanto già stabilito da altre tre città della Bulgaria: Sliven, Pazargik e Stara Zagora.

Non c’è solo la laica Francia a vietare l’uso di indumenti che possano nascondere l’identificazione di chi li indossa, seppure per motivi religiosi. Sebbene legato soprattutto agli ultimi attentati terroristici avvenuti nel paese, il dibattito che si sta aprendo in questi giorni in Germania sull’opportunità (e la costituzionalità) o meno di mettere dei limiti al velo islamico – sia esso burqa o niqab – è solo l’ultimo di una lunga serie che da anni divide molti paesi europei e che tocca argomenti delicatissimi come la libertà di religione, l’uguaglianza delle donne e il rispetto delle tradizioni. Temi sui quali oggi si è innestato anche il terrorismo, rischiando così di rendere più difficile ogni processo di integrazione.

La Francia è stato il primo paese europeo, l’11 aprile del 2011, a vietare il velo integrale nei luoghi pubblici. «I veli opprimono le donne e non sono benvenuti», disse l’allora presidente Nicolas Sarkozy. In Francia vivono cinque milioni di musulmani e si calcola che siano almeno 2.000 le donne che indossano il velo integrale. La sanzione prevista ammonta a 150 euro e l’eventuale obbligo a frequentare uno stage di «educazione civica».

La legge introduce anche il reato di «dissimulazione forzata del viso», rivolto a chi obbliga una donna a coprirsi contro la sua volontà. Sono previsti il carcere e una multa. Il 2 luglio del 2014 la Corte europea dei diritti dell’uomo ha respinto un ricorso contro la legge presentato da una giovane di 24 anni che sosteneva come il divieto violasse la sua libertà d religione e di espressione.

È dal luglio del 2011 che invece il velo è messo la bando in Belgio nei parchi e in strada. A dicembre del 2012 la Corte costituzionale ha stabilito che il divieto non rappresenta una violazione dei diritti umani.

Anche se la Spagna non ha una legge nazionale, Barcellona e altre due piccole città della Catalogna vietano il velo integrale. Una questione dibattuta. A febbraio del 2013 la Corte suprema ha stabilito che i divieto rappresentava una violazione della libertà di religione, ma il comune di Barcellona replicò spiegando che la norma riguardava ogni indumento che impedisse l’identificazione, compresi caschi e passamontagna.

Nessun divieto, invece, in Gran Bretagna, ma le scuole sono autorizzate a decidere in autonomia quale abbigliamento e studentesse possono indossare. Velo permesso, invece, in Austria, anche se le direzioni scolastiche hanno una certa autonomia di decisione. Per quanto riguarda la Germania, invece, c’è un precedente che potrebbe avere un peso su future decisioni. Nel settembre del 2003 la Corte costituzionale federale si espresse a favore di un insegnante che voleva indossare il velo a scuola.

Almeno la metà dei 16 Länder tedeschi, però, continuano a vietarlo ai loro insegnanti.

Infine l’Italia. La legge vieta di girare in luoghi pubblici indossando caschi, passamontagna e qualunque altro indumento renda difficile se non impossibile l’identificazione. Nonostante questo la Regione Lombardia (guidata dal leghista Roberto Maroni) ha varato un regolamento entrato in vigore il 1 gennaio di quest’anno che vieta burqa o niqab negli ospedali, nei teatri e nei musei. Divieto adottato in Veneto anche dalla città di Venezia, dove a una donna velata è vietato entrare in un museo cittadino se prima non si lascia identificare.

La differenza tra i due casi è che mentre a Venezia il divieto è stato adottato dal prefetto Domenico Cuttaia come misura contro il terrorismo, per il ministro della Giustizia Andrea Orlando quella della regione lombarda è stata un’iniziativa di chiaro sapore «simbolico-propagandistico». «La legge contro il travisamento c’è», è stato il commento del ministro. «E in questo momento c’è bisogno di tutto tranne che di agitare dei simboli e di fare propaganda perché mi pare che in questo ambito gli estremisti islamici siano imbattibili, e quindi non mi cimenterei su questo terreno».