Condanna per 18 imputati su 19: questa la richiesta dei pm nel processo per le megadiscariche di Bussi sul Tirino (Pe) che si sta svolgendo in Corte d’Assise a Chieti con rito abbreviato. Le conclusioni dei pm Anna Rita Mantini e Giuseppe Bellelli arrivano al termine di due giorni di requisitoria.

Dodici anni di carcere per Guido Angiolini, 81 anni, amministratore delegato pro tempore di Montedison (2001-2003); 12 anni e 8 mesi per Carlo Cogliati, ad pro tempore di Ausimont; 11 anni per Salvatore Boncoraglio, responsabile Pas della sede centrale di Milano di Montedison; 4 anni per Nicola Sabatini, vice direttore pro tempore della Montedison di Bussi (1963-1975); 11 anni per Nazzareno Santini, direttore pro tempore della Montedison/Ausimont di Bussi (1985-1992); 11 anni per Carlo Vassallo, direttore pro tempore dello stabilimento Montedison/Ausimont di Bussi (1992-1997); 10 anni e 4 mesi per Domenico Alleva, responsabile tecnico; 12 anni per Luigi Guarracino, direttore pro tempore dello stabilimento Montedison/Ausimont di Bussi (1997-2002). Ancora: 10 anni e 4 mesi per Giancarlo Morelli, 10 anni e 4 mesi per Camillo Di Paolo, 11 anni per Maurizio Aguggia, 11 anni per Leonardo Capogrosso, 11 anni per Giuseppe Quaglia, assoluzione per Maurizio Piazzardi, 7 anni per Luigi Furlani, 7 anni per Alessandro Masotti, 7 anni per Bruno Parodi, 10 anni e 4 mesi per Vincenzo Santamato, 10 anni e 4 mesi per Mauro Molinari. Tutti debbono rispondere di disastro ambientale e avvelenamento delle acque.

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«Del disastro tutti sapevano, tranne i cittadini che ogni volta che bevevano un bicchiere d’acqua immettevano nel loro organismo sostanze cancerogene»: è stato evidenziato, tra l’altro, dalla pubblica accusa che ha ricostruito una vicenda di verità nascoste e di terribili bugie trascinate avanti per decenni anche dalle autorità. «La zona Bussi-Popoli – è stato evidenziato – è tra quelle in Abruzzo con maggiore incidenza di tumori. Qui sono stati commessi crimini tra i peggiori del genere in Italia sulla pelle di decine di migliaia di abitanti». «I dati pubblici sullo stato dei luoghi – è stato ancora sottolineato – venivano sistematicamente alterati per celare la catastrofe». Affermazione supportata da slide che hanno mostrato le tabelle dove i dati del mercurio veri e quelli falsi passavano, per fare un esempio, da 100 a 14 per lo stesso pozzetto. Non solo, i pm in aula hanno fatto vedere una mail interna tra due dipendenti in cui «ci si lamentava con l’altro che era troppo sistematica l’alterazione».

«Documento dopo documento, attraverso la proiezione in aula, è andato in scena un vero e proprio dramma ambientale – dice Augusto De Sanctis, del Forum Acqua –. Sono emersi fatti incontrovertibili sulla conoscenza da decenni da parte di Montedison della gravissima contaminazione non solo di Bussi ma addirittura dell’intera vallata, mare Adriatico e città di Pescara, con piombo e mercurio. La presenza di falde fortemente inquinate da clorurati era del tutto evidente anche per quanto riguarda l’acquedotto».