che prediligono lo sberluccico spinto e illuminano a giorno anche la notte. La stessa cosa vale per il trucco, tant’è che ci sono tecniche e prodotti studiati apposta per l’uno o per l’altra. La Butterfly scaligera trasmessa da Rai1 e Rainews24 lo scorso 7 dicembre non è sfuggita a queste forche caudine ed è scivolata qua e là su particolari che magari dal vivo si notavano poco, ma nello schermo sono diventati dei veri fastidi.

Diciamolo subito, il soprano Maria José Siri, uruguaiana, non ha per niente il fisico da Butterfly perché nulla del suo aspetto fa pensare a una minuta e diafana giapponese. Se si hanno lineamenti e colori latinos, se le curve sono procaci, non saranno certo un trucco e una parrucca da geisha a creare una geisha. Servirebbero poi movenze flessuose, una gestualità lieve ed elegante che invece mancava. È bastato che due comparse, autentiche giapponesi, si avvicinassero al soprano per capire quanto fossero distanti le intenzioni dall’effetto reale. A un certo punto ci si è messo anche il fondotinta a fare i capricci, e quello che doveva creare un biancore perfettamente opaco ha cominciato a sudare trasformandosi in una maschera luccicante. Le telecamere, invece di deviare l’attenzione e, che so, allargare l’inquadratura, si sono accanite con tali primi piani che veniva voglia di dire «Salvate quella poveretta da tanto sadismo». C’è stato poi il problema delle mani che, oltre a essere lasciate del loro colore naturale, vale a dire olivastro, erano sempre vicine al viso, troppo, aumentando così il contrasto di carnagione.

Il distacco continentale Sudamerica-Oriente è deflagrato con la mimica di braccia, mani e dita che, nelle intenzioni della regia, dovevano simulare la ieraticità del teatro Kabuki. Essendo però le mani del soprano Siri non proprio degli steli di fiore, l’effetto faceva più pensare a un groviglio di rotolini che a marmoree punte di ali. Non parliamo poi del trucco delle figure maschili giapponesi (lo zio Bonzo e Goro) che, nei primi piani, sottolineava tutto ciò che doveva essere nascosto da calotte e trucco, ovvero attaccatura dei capelli e sopracciglia naturali, trasformando i personaggi in maschere carnevalesche. E va bè, potrebbero dire i meno pignoli, si può anche soprassedere a questi particolari per assistere in diretta a una prima alla Scala e godersi l’opera così come l’aveva pensata Puccini per la prima del 1904, cioè in due atti anziché tre. Però perché accontentarsi in un teatro dove sono passati Visconti, Strehler, Ronconi? E perché non considerare che anche gli spettatori da casa hanno i loro diritti e vorrebbero, magari, sentire commenti interessanti o intelligenti, non le inutili interviste fatte nell’intervallo da Milly Carlucci a signore del parterre. E che dire degli ineffabili Laura Squillaci e Antonio Di Bella, direttore di Rainews24? Alla fine dell’opera hanno sottolineato la scelta registica di far suicidare Cio Cio-san con il maschio harakiri (taglio del ventre) anziché con lo jigai, (auto sgozzamento) rituale suicida praticato dalle donne a quei tempi. Peccato che la regia televisiva pochi minuti prima avesse inquadrato secondo per secondo il momento drammatico, cosicché tutti abbiamo visto benissimo il soprano sollevare il pugnale e mimare un taglio proprio alla gola. Non sarebbe una cattiva idea se i commentatori di eventi del genere guardassero quello che loro stessi mandano in onda, e che paghiamo col canone.

mariangela.mianiti@gmail.com