Le feste sono finite, ma loro sono sempre lì, al presidio davanti alla fabbrica. La Saeco, dove vorrebbero continuare a costruire macchine per il caffé, ma che ha scelto un’altra direzione: delocalizzare le produzioni. La decisione, in realtà, è stata presa dalla proprietaria, la Philips, che nel 2009 ha acquistato gli stabilimenti del noto marchio italiano. Ieri i dipendenti – la gran parte donne, soprattutto alle linee – sono già arrivati al quarantesimo giorno di protesta: al freddo e al gelo, sotto un tendone, con la sofferenza attutita solo dalla straordinaria solidarietà dei cittadini, dei commercianti, dei piccoli imprenditori di Gaggio Montano e di tutti i comuni del bolognese che da anni forniscono cervelli e braccia a questo storico impianto.

«Le ragioni del presidio stanno in numeri che parlano fin troppo chiaro: 243 lavoratori Saeco su 558 rischiano il licenziamento – spiega Stefano Zoli della Fiom Cgil di Bologna – Questa la comunicazione arrivata il 26 novembre ai sindacati dalla Philips». Esuberi, perché lo stabilimento dovrà dimagrire. E finora gli incontri in Unindustria Bologna, in Regione e al ministero dello Sviluppo non hanno convinto la multinazionale Usa a cambiare idea. E soprattutto piano industriale.

«L’ultima ristretta al ministero dello Sviluppo ha sortito qualcosa in più – spiega il delegato della Fim Cisl Stefano Stefanelli – L’azienda ha detto che valuterà le proposte della ministra Federica Guidi: e cioè il rientro di tutti gli esuberi, e un nuovo piano industriale triennale che riporti alle nostre linee i prodotti di media e alta gamma che abbiamo perso negli ultimi anni. Ma è un impegno ancora troppo generico e noi continuiamo le nostre manifestazioni».

07 eco1 saeco

E già, perché come spiega lo stesso Stefanelli, i lavoratori si sono sentiti «traditi» dopo che la multinazionale ha sostanzialmente disatteso gli accordi relativi allo sviluppo dello stabilimento firmati in sede di integrativo nel 2011. «Lì si parlava di macchine di media e alta gamma per le linee di Gaggio, che avrebbero garantito occupazione. Ma al contrario ci siamo ritrovati con il grosso di una macchina che costa meno e che ha ricevuto ordini inferiori al previsto, e poco di quelle più pregiate, mentre tutto quello che rappresenta il futuro più sostanziale della produzione Saeco è già stato portato nello stabilimento rumeno. Un sito che produce cinque volte il nostro e dove gli operai costano un quarto rispetto a noi».

Nello stabilimento bolognese dovrebbero rimanere, nei piani di Philips/Saeco, solo 315 dipendenti, perlopiù impegnati nell’ideazione e nello sviluppo del prodotto, che – come è comprensibile a tutti – è importantissimo che rimanga made in Italy. Ma non più nella fattura vera e propria, a quanto pare vedendo quel che accade a Gaggio. «Fino a qualche anno fa la Saeco aveva quattro stabilimenti in tutta Italia, con oltre 1100 addetti: adesso ci siamo ridotti a questo di Gaggio, con i 558 che difendono il proprio posto», conclude amaro il delegato Fim Cisl Stefanelli.

Le manifestazioni di solidarietà sono tantissime: i commercianti e i piccoli imprenditori del posto portano cibo e altri beni di conforto al presidio, e vengono organizzati continuamente eventi – a Gaggio e nei paesi vicini, fino a Bologna – per alimentare la «cassa di resistenza» degli operai. Ieri ad esempio una cinquantina di scuole di ballo in tutta la provincia ha messo su una serata di tango.

Il parroco di Gaggio ha tenuto la messa della notte di Natale al presidio, l’arcivescovo ha portato la sua solidarietà, ieri la Cgil ha organizzato una speciale «Befana» con dolcetti e premi per i bimbi. I parlamentari locali del Pd hanno incontrato una delegazione di operai: e speriamo che facciano pressione sul premier Renzi.

I posti di lavoro della Saeco per questo territorio sono fondamentali, la chiamano la «Fiat» del posto: e sono soprattutto donne a lavorarci, nelle linee rappresentano addirittura l’80-90% del personale. Media 40 anni di età, quindi si presuppone con figli piccoli: e a seconda di eventuali scivoli disponibili, comunque non oltre 50 addetti sarebbero prepensionabili. Sarebbe grave se la Philips decidesse di mettere 200 e più persone in mobilità entro l’anno, come ha annunciato nella sua lettera.

«Parliamo – conclude Stefano Zoli della Fiom – di una fabbrica con catene di montaggio ad alta intensità di lavoro e con una altissima incidenza di patologie agli arti superiori. Uno stabilimento collocato nell’alto appennino bolognese, già pesantemente colpito dalla crisi nel settore industriale e termale, e che ha in Philips Saeco la principale fonte di reddito».

Finora il presidio e le manifestazioni svolte nella vallata emiliana non hanno cambiato i piani Philips, ma i lavoratori non mollano.