«La missione è compiuta, non c’è più nessuno nel campo, tutti sono al riparo». In anticipo sui tempi, la prefetto del Pas-de-Calais, Fabienne Buccio, ieri a metà giornata, ha annunciato la fine dell’operazione di sgombero del più grosso campo profughi europeo. Ma la razionalità cartesiana che ha guidato la narrazione ufficiale dello sgombero del campo di Calais ha dovuto scendere a compromessi con la matematica. 3.242 adulti sono saliti sugli autobus nei tre giorni di operazione, 772 minorenni sono stati ospitati in container non lontani dal campo, 217 sono stati accettati in Gran Bretagna, perché hanno parenti nel paese, gli altri aspettano una risposta da Londra.

Un collettivo di avvocati, che denuncia il fatto di non poter intervenire, afferma che c’è in corso una «selezione arbitraria» tra i minorenni.

Per Buccio «5mila persone sono già passate dai controlli» sotto la tenda della «stazione» di smistamento, entro ieri sera il numero è salito a 6.600. Confusione di cifre, che non possono però nascondere che il ritmo del balletto degli autobus diretti ai 450 centri di accoglienza e di orientamento (Cao) sparsi in tutta la Francia, è stato più lento del previsto, perché dopo la ressa nelle code il giorno di avvio del piano, lunedì, i profughi sono poi stati più reticenti a entrare nel «dispositivo».

Ancora ieri, molti non accettavano l’alternativa, ripetuta anche dai volontari: bisogna andarsene oggi, da domani ci sarà la polizia. Un gruppo di almeno 150-200 migranti sarebbe già pronto a tornare nella «giungla» secondo alcune testimonianze raccolte sul posto. «Tanti non sanno dove andare, questa notte non hanno neanche un posto per dormire. Sarà caccia all’uomo», denunciano i volontari di Secours Catholique.

Dove sono finiti gli altri? Le associazioni avevano censito fino a 10.200 persone a Calais, altre cifre parlavano di almeno 8mila. Si sono perse le tracce di un terzo della popolazione del campo: molti sono fuggiti prima dell’inizio dell’operazione, altri durante. Secondo i calcoli delle associazioni Auberge des Migrants e Help Refugees almeno 3mila persone sarebbero «evaporate» ultimamente.

I conti non tornano. Ieri, per di più, ci sono stati nuovi arrivi a Calais, probabilmente da Parigi o da altri paesi europei, ma la prefettura ha già fatto sapere che «la Francia non si farà carico» di questi nuovi arrivi. Ieri non è stato più possibile entrare nel campo, neppure per le associazioni di volontari che hanno un lungo passato di attività sul posto: la prefettura ha fatto valere l’applicazione di un decreto del 23 ottobre, che istituisce una «zona di protezione» al campo La Lande (la cosiddetta «giungla») e comunque c’è lo stato di emergenza che facilita il compito alle autorità.

Il governo ha insistito sulla «calma» nello sviluppo delle operazioni. Ma ieri verso mezzogiorno ci sono stati momenti di forte tensione con nuovi incendi nel campo che hanno fatto seguito ai fuochi esplosi nella notte e sedati solo all’alba. Le autorità di polizia danno una spiegazione «culturale»: all’origine degli incendi ci sarebbero degli afghani, che per tradizione metterebbero fuoco ai loro averi quando abbandonano un posto. Perplessità delle associazioni: «Gli incendi sono prima di tutto espressione di sofferenza e rabbia», spiega Vincent de Coninck del Secours Catholique. Quattro afghani sono stati fermati, con l’accusa di «incendio» o «tentativo di incendio». Un rifugiato è stato leggermente ferito a causa dell’esplosione di una bombola di gas. Delle donne africane hanno organizzato a metà giornata una manifestazione: «Dove sono i diritti umani?» hanno chiesto, perché il loro obiettivo resta la Gran Bretagna, ma la Francia (coadiuvata da agenti britannici) lo impedisce.

La «missione compiuta» finirà con la distruzione definitiva del campo. Fino a ieri sera, erano stati utilizzati solo bobcat, pale o interventi a mano, per evitare di restituire in mondo visione un’immagine di violenza. Ma ora interviene la società che ha avuto l’appalto, si tratta di Vinci, gigante dei lavori pubblici, che farà uso di bulldozer.