Tutti a parlare del buco da circa 8 miliardi. E nessuno che parli della sua motivazione principale: la mancanza di equità della riforma Fornero.

A due giorni dalla sentenza della Corte costituzionale che ha dichiarato illegittimo il blocco delle rivalutazioni deciso con il SalvaItalia di Monti del 2011, il governo sembra prendersela più con la Consulta (definita da fonti di palazzo Chigi «la vera casta» anche se il suo componente più famoso, Giuliano Amato, si è affrettato a precisare che ha votato contro l’incostituzionalità) che pensare a come modificare quella vera razzia che ha fatto cassa con le pensioni degli italiani: blocco totale della rivalutazione per le pensioni di importo superiore a 3 volte il minimo (1.405 euro lordi, meno di 1.200 netti) per due anni.

I risparmi per le casse dello Stato è stato di circa 8 miliardi di euro sommando gli effetti della norma sul 2012 e 2013. Poi è arrivato Letta che ha calmierato il blocco, reintroducendo la rivalutazione al 100 per cento fino a 3 volte il minimo con percentuali a scalare fino al 50 per cento per le pensioni di 6 volte il minimo. Ma tutti questi importi risentono dell’effetto trascinamento del blocco della Fornero e dunque andranno in parte restituiti: lo Spi Cgil calcola in circa 1,7 miliardi gli ulteriori risparmi per lo Stato, per un totale di 9,7 miliardi totali.

Certo, c’è l’urgenza di rispettare la sentenza e di restituire i soldi ai 6 milioni di pensionati con una media (calcolata sempre dallo Spi) di 1.779 euro a persona, come chiede a gran voce la segretaria generale Carla Cantone ricordando il precedente «del contributo di solidarietà sulle pensioni d’oro (definito anch’esso illegittimo dalla Consulta nel 2013) che fu restituito a stretto giro, tornando al meccanismo di rivalutazione ante Fornero».

C’è da stabilire dove reperire le risorse, partendo di sicuro dal traballante «tesoretto» dovuto al possibile scostamento della crescita del Pil rispetto allo 0,7 predetto dal governo.
Ma l’effetto più importante della decisione è quello di riportare al centro dell’attenzione del governo il tema della previdenza.

Una questione tenuta in disparte e considerata «non prioritaria» da Renzi e Poletti e che ora – obtorto collo – lo diventa urgentemente. Il governo aveva già annunciato modifiche alla riforma Fornero per la prossima legge di stabilità con il presidente dell’Inps Tito Boeri che per giugno ha promesso una proposta con al centro il problema degli over 55 senza lavoro e pensione. La premessa era: «La proposta sarà a costo zero». Ora dovrà per forza rivederla. Il governo era orientato ad un prestito: un reddito fino alla pensione, da restituire quando l’assegno mensile dell’Inps sarà finalmente arrivato.

Una proposta che però taglia fuori tutto il tema delle pensioni – da fame – che avranno i giovani precari – calcolabile da ieri sul sito dell’Inps – e che non assicura equità all’intero sistema. «Il governo non può più girarsi dall’altra parte – sottolinea Carla Cantone – e deve rimettere mano a tutto l’impianto di una riforma che ha penalizzato anziani, adulti e giovani. E per farlo bisogna intervenire anche sul capitolo esodati ed età pensionabile».

Ieri intanto l’Ocse – col rapporto “Oecd360″ – ha nuovamente certificato l’ingiustizia e le difficoltà sul fronte del lavoro che caratterizzano il nostro paese. L’Italia è il quarto paese dell’area Ocse per percentuale di disoccupati di lunga durata (ovvero, persone che non lavorano da un anno o più) sul totale dei senza lavoro. Dal 2007 al 2013 la quota di disoccupati di lunga durata sul totale dei disoccupati è salita dal 45 a quasi il 60 per cento, una percentuale superata solo da Irlanda, Grecia e Slovacchia.

In più, nonostante il reddito medio disponibile corretto pro capite delle famiglie, pari a 24.724 dollari all’anno, sia superiore alla media Ocse (23.938 dollari l’anno), in Italia «c’è un notevole divario tra i più ricchi e i più poveri», sostiene il rapporto. «Il 20% più ricco della popolazione”, si legge nel rapporto, “guadagna quasi sei volte di più del 20% più povero». m. fr.