L’Ukip, diventato il primo partito britannico al Parlamento europeo (27,5%) nel maggio scorso, ha eletto di recente due deputati a Westminster e ora influenza la politica di David Cameron. Il premier, in un discorso sull’immigrazione nello Staffondshire, ha ieri messo la Commissione con le spalle al muro: Londra chiederà a Bruxelles “di modificare i trattati” per permettere limitazioni consistenti all’immigrazione di cittadini comunitari, “una necessità assoluta per la Gran Bretagna”. L’obiettivo di Cameron è impedire agli immigrati provenienti da uno degli altri 27 paesi Ue di accedere a certi diritti per “almeno 4 anni”, in particolare al credito di imposta e alle case popolari. Inoltre, un disoccupato comunitario residente in Gran Bretagna che dopo sei mesi di ricerca non trova un lavoro, dovrà essere espulso. Infine, non dovranno più esserci assegni famigliari per gli immigrati a beneficio di figli che non risiedono in Gran Bretagna. Cameron ha continuato a difendere la sola cosa della Ue che interessa veramente Londra – il mercato unico – ma ha minacciato di ricorrere al Brexit, con un referendum sulla partecipazione alla Ue nel 2017 (in caso di rielezione alle legislative del 2015), se la Commissione farà “la sorda”. Cameron, dopo una telefonata con Angela Merkel, ha pero’ accuratamente evitato di promettere l’istituzione di “quote” di immigrati comunitari, decisione che contraddirebbe il principio della libera circolazione dei cittadini nella Ue. Per Cameron, le richieste di escludere temporaneamente i migranti europei dai diritti sociali sono “chiare, ragionevoli, oneste e di buon senso”. E vanno incontro alla domanda dei britannici, sempre più sedotti dal voto estremista per l’Ukip. Cameron è stato particolarmente colpito dalle due defezioni nel suo partito, dove due deputati tory hanno provocato elezioni dopo essere passati all’Ukip: il partito di Nigel Farage ha cosi’ ottenuto due seggi a Westminster, il 20 novembre scorso a Rochester and Strood (nel Kent, una zona tra l’altro dove la disoccupazione è inferiore alla media) che ha fatto seguito al voto del 9 ottobre, a Clacton-on-Sea, una cittadina impoverita dell’Essex. I conservatori avevano promesso di ridurre l’immigrazione comunitaria al di sotto di 100mila entrate. Ma gli ultimi dati rivelano che il saldo migratorio è stato positivo per la Gran Bretagna di 260mila persone, in aumento del 39% tra il 2013 e il 2014, e che più della metà dei nuovi immigrati provengono da uno degli altri 27 paesi Ue (in particolare dall’est europeo). I migranti, anche comunitari, sono accusati di rubare il lavoro ai britannici. Del resto, anche i Lib-Dem, che sono in caduta libera, e persino il Labour non vedono di cattivo occhio le limitazioni di accesso al welfare. Frances O’Grady, segretaria generale del Tuc (Trade Union Council), ha sottolineato ieri che sono “i padroni ad usare gli immigrati per ridurre diritti e salari”. Per Cameron, le nuove norme “limiteranno l’attrattività per i lavoratori poco qualificati”.

Bruxelles ha reagito usando le pinze. “Non drammatizziamo” ha detto un portavoce del presidente Juncker. “Vediamo come abbordare queste questioni” evitando alla Gran Bretagna di “sbattere la porta”. Più sorprendentemente, il portavoce ha affermato che la posizione di Cameron “è condivisa da vari commissari”. Il riferimento implicito è alla recente decisione della Corte di giustizia europea, che con un giudizio a favore della preferenza nazionale battezzato “sentenza anti-Rom”, ha segnato un nuovo piccolo passo indietro nella costruzione comunitaria. La Corte di giustizia europea, sollecitata l’anno scorso dal tribunale degli affari sociali di Leipzig, ha giudicato che “gli stati membri possono, a certe condizioni, rifiutare gli aiuti sociali ai disoccupati di altri stati membri residenti” e questo “senza contraddire il principio della libera circolazione delle persone”. In altri termini, la Corte di giustizia si è pronunciata contro quello che Londra (ma anche Berlino) hanno definito “turismo sociale”.