David Guevara è un giovane regista colombiano, autore del documentario “Camilo, más que un cura guerrillero” (Camilo, più che un prete guerrigliero), che si sta proiettando in America latina, nei dibattiti dei movimenti popolari. Un omaggio a Camilo Torres, il sacerdote leader della seconda guerriglia più importante della Colombia, l’Eln. Nato a Bogotà il 3 febbraio del 1929 da una ricca famiglia della borghesia liberale, Camilo è stato un precursore della Teologia della liberazione, fautore del dialogo tra  marxismo rivoluzionario e  cattolicesimo conseguente. Entrato nell’Eln, è morto con il fucile in mano il 15 febbraio del 1966.

Perché un giovane artista fa un film su un personaggio “ingombrante” del secolo scorso?
Per il suo impatto sull’immaginario e sulle emozioni, il cinema è un mezzo  efficace per stimolare la coscienza sulla nostra realtà sociale. Pur fra mille difficoltà e impedimenti, l’audiovisivo ha mantenuto una grande attenzione su questi temi e continua a caratterizzarsi per le sue storie forti in un contesto di alta conflittualità sociale, con un’attenzione specifica alle radici del conflitto armato, che dura da 52 anni. La memoria storica è un potente fattore politico. Quello di Camilo Torres Restrepo è un pensiero vivo, pratico e attuale. Il nostro intento è stato quello di raccontare la sua figura e il suo pensiero  non in modo astratto o come archeologia del secolo passato, ma come un sincretismo di lotta sociale persistente a dispetto delle demonizzazioni. Un pensiero presente nel lavoro di costruzione e nelle richieste dei settori sociali meno favoriti di fronte alla feroce disuguaglianza sociale che non è mai cambiata, anzi si è approfondita nel corso di 50 anni. Camilo è una figura molto potente del secolo XX, sia per il nostro paese che per il continente, un anello fondamentale per capire quale strada occorre intraprendere per portare a soluzione il conflitto armato. La sua memoria si è però diluita nell’immaginario nazionale e, a 50 anni dalla sua morte in combattimento abbiamo voluto realizzare un cortometraggio di fiction sulla sua vita, basandoci su testimonianze e ricostruzioni.

Che messaggio può dare Camilo Torres in questo secolo in cui i governi che si richiamano al Socialismo vanno al potere con le elezioni?
Un messaggio di coerenza estrema e di forte impegno a fianco degli ultimi e dell’umanità negata. Ha vissuto un’epoca caratterizzata dalle imposizioni di un’oligarchia chiusa al dialogo, al cambiamento, escludente e repressiva. Ai giorni nostri, questa classe dominante ha aperto dei canali di dialogo, tuttavia continua a reprimere mentre governa. Coerente agli interessi della classe che aveva deciso di difendere, Camilo ha affermato che il popolo, che è la maggioranza, deve poter contare, senza chiedere il permesso, in modo pacifico o no dipende dalle circostanze. Cinquant’anni fa, l’oligarchia ha scelto di reagire con violenza e il popolo ha preso le armi. In questi giorni, l’oligarchia si apre al dialogo, ma senza cedere il potere…

Quale peso ha Camilo Torres oggi nel guevarismo dell’Eln?
E’ un sentimento che persiste, così come continua a vivere nei movimenti sociali che non assumono la lotta armata, parla di sacrificio, di martirio e di redenzione per i poveri. Un sentimento che non è in contraddizione con il guevarismo, ma lo completa nella rinuncia all’avanguardismo e nella ricerca di unità. L’Eln si pone come parte di un’avanguardia collettiva, e questa è senza dubbio un’eredità di Camilo.

Cosa pensa del ruolo di papa Bergoglio?
Il papa oggi è una voce che assume il messaggio di Cristo come una contraddizione con il capitalismo vorace, come lo ha fatto a suo tempo la generazione dei sacerdoti che ha edificato la chiesa dei poveri, questa nuova evangelizzazione continua e ha contagiato molti settori ecclesiastici. Forse si può considerare Bergoglio come un effetto della testimonianza di vita e dell’opera di Camilo Torres e dei sacerdoti della Teologia della liberazione.

L’Eln sta conducendo trattative separate. Che pensa del processo di pace?
Il processo di dialogo per porre fine al conflitto armato è un fatto importante per il paese, non è la prima volta che il nostro paese assume la soluzione politica negoziata come alternativa alla guerra, ma la classe dominante non ha mai ceduto davvero terreno e anche oggi, non sembra voler davvero cambiare pratica. La senzazione, a volte, è che più che alla pace, pensi a costruirsi le condizioni per neutralizzare almeno una delle guerriglie attraverso la politica elettorale, senza intaccare i cambiamenti strutturali e il cambiamento di mentalità che sono necessari per costruire un vero percorso di pace. Per questo, è necessario che la società di mobiliti per rendere effettivi i cambiamenti necessari e mettere in pratica gli intenti degli accordi.