L’idea è quella di dar vita a un processo di Khartoum in piccolo, vale a dire di provare a interrompere i flussi di migranti dall’Africa allestendo campi di raccolta in tre Paesi di transito: Niger, Sudan e Tunisia. Il ministro degli Interni Angelino Alfano l’ha spiegata ieri a Bruxelles ai colleghi dell’Unione europea convocati proprio per discutere di immigrazione. E Alfano ha raccolto manifestazioni di interesse che però, almeno per ora, non si sono trasformate in un via libera politico al progetto. Un’altra tappa importante ci sarà lunedì, quando a vedersi a Bruxelles per affrontare il dossier immigrazione saranno i ministri degli Esteri convocati dal capo della diplomazia Ue Federica Mogherini. «L’italia è in una situazione complicata, ma non è sola», ha promesso il commissario Ue per l’immigrazione, Dimitris Avramopoulos, che nei prossimi giorni si recherà in Egitto, Marocco e Tunisia per discutere di possibili accordi di collaborazione.
Per certi versi sembra di essere tornati a sette mesi fa, quando l’Italia chiedeva all’Europa di non essere lasciata sola nell’opera di salvataggio dei migranti e Bruxelles prendeva tempo. Allora il risultato, voluto proprio da Alfano e Renzi, fu lo stop alla missione Mare nostrum e l’avvio di Triton, con gli scarsi risultati che conosciamo. Adesso le cose potrebbero andare diversamente a patto che i 28 riescano prima o poi a mettersi d’accordo.
Alla base della proposta italiana c’è il tentativo di sottrarre i migranti alle mani dei trafficanti esaminando già in Africa le richieste di asilo e trasferendo poi coloro che ne hanno diritto Europa dividendoli in proporzione tra gli Stati mebri. In questo modo oltre ad assestare un colpo ai trafficanti di uomini, si aggirerebbe anche il regolamento di Dublino III che oggi obbliga i migranti a presentare domanda di asilo nel Paese in cui sbarcano. I campi destinati a ospitare (e si spera a proteggere) i profughi saranno gestiti dall’Ue in collaborazione con l’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr) e l’Organizzione internazionale per le migrazioni (Oim).
I campi «non sono una missione di polizia, sono una missione umanitaria. Una missione che consente all’Ue di fare uno screening e di sottrarre un bacino di mercato enorme ai mercanti di morte e ai trafficanti di esseri umani», ha spiegato ieri Alfano. Perché il progetto prenda corpo c’è bisogno però del permesso dei governi locali alla costruzione dei campi che non dovranno essere come quelli già esistenti ad esempio in Sudan, che altro non sono che depositi dove i profughi sono condannati a restare per anni. Alfano conta poi di poter arrivare alla stipula di nuovi accordi di collaborazione con altri paesi di transito in modo da mettere un argine alle partenze dei migranti. Il modello è la collaborazione già in corso con la Turchia che, ha spiegato il ministro, «funziona bene». «A inizio anno stavano cambiando le rotte con navi che partivano dalla Turchia», ha ricordato. «L’ottimo lavoro con i colleghi turchi ha migliorato la situazione». «Vogliano fare in modo che i flussi siano gestiti», gli ha fatto eco il collega francese Bernard Cazeneuve.
Un’altra possibilità per affrontate l’emergenza è quella avanzata ieri dall’Unhcr, che all’Ue ha proposto un progetto pilota per trasferire i rifugiati siriani soccorsi in Grecia e Italia in diversi paesi europei «sulla base di un sistema equo di distribuzione».
Tutto questo, però, riguarda il futuro. Il presente è fatto invece ancora di barconi carichi di disperati che provano ad attraversare il canale di Sicilia per arrivare fino a noi. Barconi fatiscenti che le organizzazioni criminali riempiono fino all’inverosimile di migranti e che rischiano di affondare ogni volta che c’è un’onda più forte delle altre. Qualce giorno fa il direttore esecutivo di Frontex, l’agenzia europea addetta al controllo del frontiere, ha parlato di 500 mila, un milione di profughi pronti a salpare dalla Libia. Cifre spropositate che il funzionario non ha saputo giustificare. Più realistica quella fatta sempre a Bruxelles dal ministro degli Interni spagnolo Jeorge Fernandez Diaz che, sulla base degli sbarchi avuti nei primi mesi dell’anno, ha stimato in circa 200 mila i profughi che potrebbero arrivare in Italia entro la fine del 2015. Per loro, però, Diaz non sembra intenzionato a modificare la missione Triton in modo da assicurare un maggior numero di interventi di soccorso. Frontex «ha per missione la sicurezza e non può trasformarsi in un’agenzia di salvataggio», ha spiegato senza mezzi termini. «Il principio umanitario è sempre valido e in qualunque caso le persone in difficoltà vanno salvate, ma una cosa è questa e un’altra è che ci sia un effetto chiamata che snatura la missione di Frontex».