Pietro, Roberto e Tranquillo lavorano a catena: il primo porta gli scatoloni, il secondo divide i pezzi di carne, il terzo li mette sotto vuoto. «Stiamo distribuendo pollo, manzo e suino alle famiglie. Ad ogni nucleo le sue confezioni».

La piccola struttura è stata inaugurata lunedì: un container-refrigeratore. Fuori la neve nasconde le ferite di Campi, comunità del comune di Norcia, incorniciata dall’Appenino.

Centocinquanta anime, lungo la Valle Castoriana tra Norcia e Preci, Campi ha una sua anima particolare, atavico senso di indipendenza figlio dell’antica abbazia di Sant’Eutizio e della scuola chirurgica preciana, scuola empirica lontana dal mondo accademico ma radicata su territorio e tradizioni contadine.

Forse va cercata là la radice dell’autonomia della comunità, da alcuni scherzosamente ribattezzata «libera repubblica di Campi». Perché qui le famiglie hanno deciso di fare da sole, di non aspettare quella che chiamano «l’elefantiaca macchina istituzionale».

Fino a diventare modello di accoglienza, prevenzione e prossima ricostruzione: «Viviamo in auto-gestione, con due obiettivi: restare sul territorio e vivere bene, non sopravvivere». Roberto Sbriccoli dà voce a Campi: imprenditore edile e dj, è presidente della Proloco, impalcatura su cui si sviluppa l’autonomia della comunità.

«Passiamo come esempio scomodo – ci dice mentre imbusta ali di pollo – ma quello che abbiamo realizzato noi andava fatto tempo fa. In 40 anni le case sono state ricostruite 4 volte. E non si capisce perché non siano state attrezzate aree di protezione civile. Noi l’abbiamo attrezzata da soli».

È la nuova sede della Proloco, inaugurata il 6 agosto, meno di 20 giorni prima il sisma del 24. «L’abbiamo costruita senza spendere un euro in manodopera, ognuno ha contribuito con le proprie competenze, idraulici, muratori, elettricisti. È una classe 4, il livello più alto nella scala degli edifici anti-sismici.

Una scelta che si è rivelata fondamentale: dal 24 agosto ha accolto le persone che avevano avuto danni e tanta paura. Da allora diamo assistenza continua e abbiamo messo in cantiere altri progetti come le celle frigorifere».

A monte una solidarietà di base lontano dai canali ufficiali: le donazioni arrivano da tutto il mondo, dopo un tam tam online. Dal Giappone è stata spedita anche la prima casetta di legno. E poi proloco, associazioni, individui, con tanti che arrivavano fin quassù portando denaro, vestiti, cibo per sostenere l’autogestione di Campi e la sua trasparenza: ogni donazione e spesa – corredata di fatture – vengono puntualmente pubblicate su Facebook.

Ci spostiamo nella sede della Proloco, è ora di pranzo. In cucina Bruna e Maria Pia preparano i piatti. La struttura è calda e accogliente: una grande cucina, bagni, un bar, anche un pianoforte. Le famiglie che hanno alloggiato qui dopo le scosse si sono già attrezzate: camper, container e roulotte.

A differenza di comunità a pochi km da qui, da Campi non se n’è andato nessuno: «Soltanto pochi anziani, torneranno a primavera. Eravamo 150, oggi 130».

Nessuna tendopoli: «Il Comune di Norcia – continua Roberto – è venuto a Campi per proporci la sciagurata soluzione dei container collettivi. Noi viviamo già in collettività: nessuno uscirà da una situazione per entrare in una identica. Tanti di noi hanno messo mano al portafogli e acquistato da soli casette o container».

Una spesa di 5.500 euro, con bagno, cucinino e tv, ci dice una signora che ne ha comprato uno. Tutto abusivo, ribattono i funzionari comunali: «Qualcuno del Comune è passato dicendoci che siamo a rischio denuncia perché queste costruzioni sono abusive – ci spiegano a tavola – È tutto abusivo, è vero. Ma, se verranno a prenderci le casette, si portino anche l’armatura. Campi allo Stato non è costato niente. Per riscaldarci consumiamo ogni giorno 15 litri di gasolio, nelle tensostrutture di Ancarano ne consumano 500. Perché? La nostra struttura è coimbentata».

La gente è rimasta e non vuole andare via: ognuno dà il proprio contributo alle attività collettive. Hanno perso tutti la casa, eppure dal 24 agosto la macchina di Campi non si è mai fermata. Fino alle schede Etes, per valutare il livello del danno agli immobili: le istituzioni non le hanno ancora avviate, allungando i tempi della prossima ricostruzione. «Abbiamo provveduto da soli – aggiungono – Con tecnici privati».

Vogliono restare qui, accanto alle attività di sempre, ai salumicifi, agli animali, vicino ai campi di farro e lenticchie. Rifiutano l’idea di un trasferimento, che non esitano a chiamare deportazione: «Una violenza, sradicare le persone dalla propria terra – aggiunge Roberto – Temo sia un’operazione voluta per spopolare i borghi. I piccoli centri rischiano di scomparire, la popolazione concentrata nei grandi centri».

A Campi resistono lontano dalla macchina farraginosa dello Stato. E guardano già avanti: è il progetto “Back to Campi” («Parafrasando Ritorno al Futuro»), 12 bungalow, un’area camper, un campo sportivo polivalente: «L’obiettivo è triplice: far tornare i visitatori, creare posti di lavoro e adibire un’area di protezione civile. Perché, mettiamocelo in testa, viviamo in un territorio in cui la prevenzione non solo evita vittime ma permette di vivere. Non solo di sopravvivere».