«Vedo che per contrastare il nostro referendum, vengono tirati in ballo argomenti ricorrenti: l’articolo 18 impedirebbe alle aziende di crescere, l’abolizione dei voucher favorirebbe il lavoro nero. Ma qualcuno sa dirmi se negli ultimi anni, pur essendo stati compressi i diritti, le dimensioni delle imprese italiane siano aumentate? E il nero, come testimoniano i dati di Bankitalia e Inps, non mi pare affatto in calo: 150 milioni di voucher convivono accanto a un sommerso sostanzialmente indisturbato». La segretaria generale della Cgil Susanna Camusso risponde alle ultime polemiche sui tre quesiti referendari elaborati dal sindacato e traccia il possibile percorso della sua organizzazione nel 2017.

È d’obbligo iniziare la nostra riflessione dalla vertenza Almaviva, che si è conclusa con 1.666 licenziamenti.

Credo sia importante innanzitutto che la Cgil abbia indetto una consultazione di tutti i lavoratori: è una vicenda tormentata, spia di un settore in sofferenza e per cui non lavorano soltanto i “giovani”, come tanti continuano a dire. Ci sono operatori e operatrici che hanno ormai una consistente anzianità aziendale, anche di 20 anni, e per cui quello al call center è, o dovrebbe essere, il lavoro che hanno scelto per la propria vita. Non possiamo ignorare che l’azienda aveva deciso il licenziamento di 2.511 lavoratori e nessuna responsabilità può essere data ai sindacati o alle Rsu. Avevamo chiesto di allargare i contenuti dell’intesa al sito di Roma trovando il rifiuto dell’azienda che ha addotto motivazioni tecnico-giuridiche. Una posizione che riteniamo estremamente sbagliata. Quella di Almaviva è una vicenda amara e drammatica. Ora è ancor più necessario che le forze sociali e istituzionali si impegnino alla ricerca di soluzioni che diano risposte ai risvolti sociali della vicenda e una prospettiva futura a tutti i lavoratori Almaviva.

Almaviva contratta in una condizione di superiorità perché ha già delocalizzato in Romania. La paura della globalizzazione ha influito nella vittoria di Trump e della Brexit. Sembra che ai timori e alle ansie di chi lavora oggi riescano a rispondere più le destre o i movimenti populisti. C’è posto per una nuova sinistra, per lo stesso sindacato?

In tanta parte dell’attuale incertezza sul futuro c’è sicuramente l’ansia per la disoccupazione: il mondo del lavoro ha la tentazione di abbandonare la partecipazione e di affidarsi alle ricette, apparentemente più rassicuranti, dei populismi. Ed è perciò assolutamente vulnerabile ai ricatti basati sul binomio taglio dei diritti/posti di lavoro. Premesso che trovo tra le strade peggiori quella di costruire un percorso politico sulla paura, vedo che in effetti quello che è mancato e che tuttora manca alla sinistra italiana ed europea è un progetto. Si è abbandonata l’idea che puoi costruire una alternativa alla globalizzazione senza regole e al liberismo, una politica che governi l’economia: è un nodo che ancora non abbiamo sciolto, e sinceramente al momento non vedo segnali che ci possano far dire che è iniziata una nuova stagione. La risposta a mio parere resta l’Europa: ma un’Europa del welfare e delle politiche sociali del lavoro. Fa riflettere la reazione dei conservatori inglesi alla Brexit: vorrebbero mantenere la libertà di circolazione per le merci e non per le persone. Questa non può essere l’Europa che vogliamo.

Un voto importante c’è stato anche da noi: il No alle riforme costituzionali proposte dal governo Renzi ha prevalso con quasi il 60%. C’è solo la difesa della Costituzione o anche tanto disagio del mondo del lavoro italiano?
Credo si siano mescolati tanti elementi, tra cui indubbiamente anche il merito della riforma costituzionale. Il dibattito politico aveva dato per scontato che avrebbe continuato a crescere l’astensione, invece guardando i dati una parte del Paese è tornata a votare. Pensiamo all’Emilia, dove pure ha vinto il Sì di misura: alle ultime elezioni regionali era andato al voto solo il 37%. Se poi guardiamo alle condizioni di reddito di chi ha votato, il segnale dato dal mondo del lavoro è evidente: smettete di raccontarci che il mondo è bello perché al contrario noi abbiamo un miliardo di problemi. Chiunque frequenti le persone che lavorano non può non vedere la distonia tra il racconto pubblico e la condizione concreta di tanti cittadini, e negare questa evidenza alimenta ancora di più il voto di protesta.

A proposito di Costituzione, in questi giorni si parla del prossimo pronunciamento della Consulta sui vostri tre referendum: diversi analisti sostengono che in tutto o in parte non verranno ammessi.
Noi aspettiamo l’11 gennaio, sentiremo cosa dirà la Corte e ci rimetteremo al suo autonomo e autorevole giudizio. Segnalo che abbiamo lavorato con giuristi e costituzionalisti, partendo dalla normativa che regola i referendum: quali siano ammissibili, che caratteristiche devono avere, e sapendo che se intervieni ad abrogare parzialmente deve rimanere in piedi una legislazione compiuta. Non siamo dilettanti allo sbaraglio. Sento invece crescere negli ultimi giorni una fastidiosa e intollerabile pressione politica perché alcuni quesiti vengano rigettati. Mi auguro che tutti abbiano il massimo rispetto per l’autonomia e l’autorevolezza dei giudici costituzionali e la smettano di coinvolgere la Corte nella bassa polemica partitica.

Secondo alcuni commentatori abrogando i voucher si alimenterebbe il lavoro nero. E per Maurizio Del Conte, presidente dell’agenzia governativa per le politiche attive del lavoro, ristabilire una tutela forte contro i licenziamenti condannerebbe le imprese a un eterno nanismo.

Sui voucher vedo in questi giorni tentativi eroici di cambiare idea per tamponare il problema posto dal nostro referendum. Noi sosteniamo che l’istituto, così com’è, non può andare bene per regolare tutti i tipi di lavori: per quanto ne restringi il campo con tetti di reddito – e 5 mila euro mi sembra ancora molto alto – o con multe e ispezioni, stiamo sempre parlando di uno strumento che era nato per regolare precise e molto limitate attività accessorie. Il lavoro nero poi non è per niente diminuito in questi anni, lo testimoniano i dati di Inps e Banca d’Italia: e intanto siamo già a 150 milioni di voucher l’anno. Piccoli interventi di maquillage non bastano, a nostro parere si devono abolire e cambiare profondamente strumento, così come proponiamo nel quesito referendario. Altrimenti si mette solo una pezza.

E sull’articolo 18?

Vedo tornare l’argomento per cui si condannerebbero le imprese al nanismo: ma più nane di così? Nonostante tutte le recenti politiche di riduzione dei diritti, non mi pare sia cresciuta la dimensione delle imprese italiane. I nodi sono altri: servono politiche di aggregazione e innovazione, si devono coinvolgere i lavoratori dei diversi settori e fare rete. Ripeto, aspettiamo la pronuncia della Consulta, e dal giorno dopo ci impegneremo nella campagna elettorale, non dando nulla per scontato, cercando di convincere i cittadini nel merito. Ricordando che i tre referendum li abbiamo pensati non solo come fini a sé stessi – nonostante siano pienamente compiuti e autonomi – ma come punto di forzatura per la Carta dei diritti universali del lavoro: una riscrittura dei diritti smantellati negli ultimi due decenni, che speriamo la politica vorrà intraprendere.

Un’altra sfida del 2017 sarà quella del nuovo modello contrattuale. Welfare integrativo a parte, sul piano salariale i metalmeccanici hanno ottenuto soltanto il riconoscimento ex post dell’inflazione. Il comparto legno ha invece spuntato aumenti relativi all’andamento del settore. Uno dei due riferimenti sarà quello valido per tutti?

Per individuare un modello ci muoviamo in base alla piattaforma che abbiamo elaborato con Cisl e Uil, e lì abbiamo detto chiaramente che l’obiettivo non può essere solo il riconoscimento ex post dell’inflazione. La stagione contrattuale è stata molto lunga e variegata, alcuni tavoli sono ancora aperti, quindi non possiamo prendere una sola vertenza a riferimento per tutti: è importante aver firmato, unitariamente, e aver cominciato ad applicare regole democratiche di validazione. Dò un giudizio positivo, seppur molto difensivo, di questa stagione contrattuale, anche perché almeno due terzi dell’industria italiana non producono quanto dovrebbero: e allora devi innovare, investire, così come dice la stessa Industria 4.0 del passato governo, e soprattutto devi fare politiche industriali e dei redditi anticicliche, contro la deflazione, e che coinvolgano i lavoratori. Speriamo anche di rinnovare il contratto del pubblico impiego: ci auguriamo che la ministra Madia concretizzi presto con un atto di indirizzo l’accordo firmato il 30 novembre a Palazzo Vidoni.