Il 18 settembre 2014, i Ministri della Difesa e della Salute hanno firmato un memorandum per un progetto pilota di «produzione nazionale di sostanze e preparazioni di origine vegetale a base di cannabis» a fini medico-scientifici. Per la coltivazione delle piante fu scelto lo Stabilimento farmaceutico militare di Firenze per le «competenze del personale militare e civile» e «le capacità produttive e di controllo qualità proprie di una industria farmaceutica», unite al «livello di sicurezza di un’installazione militare».

Per quanto nel 2010 con la senatrice radicale Donatella Poretti avessimo invitato il governo Berlusconi a favorire un simile accordo – il nostro ordine del giorno in occasione dell’adozione della legge sulle cure palliative fu accolto col parere favorevole di Giovanardi! – l’idea che una medicina dovesse esser prodotta dai militari in strettissimo regime di monopolio non m’ha mai convinto. Mi son dovuto ricredere da quando, all’inizio di agosto, ho visitato l’Istituto di Firenze. Ho scoperto una realtà che è fondamentale per rispondere a certe emergenze e crisi medico-farmaceutiche planetarie.

Nel giugno scorso a Firenze è stato effettuato il primo raccolto sperimentale. Le cinquanta piante di canapa, le cui talee erano state selezionate dal Centro di ricerca per le colture industriali di Rovigo (altra eccellenza italiana misconosciuta), hanno prodotto due chilogrammi di infiorescenze che, pare, contengano principi attivi di qualità tale da consentire un prodotto standardizzato privo di muffe, funghi o altri agenti contaminanti. A seguito delle ispezioni dell’Aifa, l’Agenzia del Farmaco, e il via libera del Ministero della Salute, da settembre si potrà finalmente partire con la produzione vera e propria in anteprima mondiale. Da gennaio 2016, si potrebbe passare a 200 metri quadrati di serre per ottenere fino a 100 chili l’anno di prodotto da inviare alle farmacie che ne faranno richiesta. L’Italia diverrà il primo e unico Stato membro dell’Onu a gestire la produzione di cannabis in strutture pubbliche.

Occorre adesso che il ministero della Salute, nell’interesse della collettività, esprima un parere favorevole a questa sperimentazione e si assuma la responsabilità di adottare delle linee guida per la prescrizione di questi cannabinoidi medici “made in Italy”: sulla scorta dell’ampia letteratura scientifica che ne conferma il positivo utilizzo in patologie gravi e altamente invalidanti come, tra le altre, la sclerosi multipla, quella laterale amiotrofica, il glaucoma, le malattie neoplastiche, gli spasmi muscolari, il dolore. A otto anni dall’adozione della legge, i quadri normativi nazionali e regionali restano sconosciuti agli operatori se non boicottati sottilmente.

Perché da liberista e antimilitarista sono a favore di questo avvio di produzione in regime di monopolio militare? Intanto perché, a differenza di quanto avevo visto in Colorado, la qualità e la cura della coltivazione è nel pieno rispetto degli obblighi europei degli Api (Active Pharmaceutical Ingredients) cioè della produzione di ingredienti attivi farmaceutici – cosa che neppure il Bedrocan olandese garantisce; in secondo luogo, perché grazie all’inevitabile espansione esponenziale della domanda di cannabis medica dei prossimi anni, che dovrà vedere il ministero della Difesa pronto a quintuplicare (almeno) gli investimenti iniziali nel 2016, le entrate della cannabis made in Italy potranno concorrere a sostenere la benemerita produzione fiorentina dei cosiddetti farmaci “orfani” (per le malattie rare, la cui ricerca non è sostenuta dai privati): un vero e proprio “servizio pubblico” mondiale che avviene in Italia senza il meritato riconoscimento.