Con la Cgil che non firma e si dà tre giorni per fare il punto della situazione, gli altri due sindacati confederali (più l’Ugl) che invece apprezzano la proposta del governo, e soprattutto 1635 addetti Alitalia che devono lasciare l’azienda e finiscono in mobilità, si chiude una delle giornate più caotiche nelle pieghe dell’annunciato matrimonio fra l’ex compagnia di bandiera italiana e gli arabi di Etihad. Un finale – se è un finale – di partita arrivato all’ora di cena. Ben oltre l’enfatico ultimatum posto appena 24 ore prima del ministro dei trasporti Lupi, e con tutta una serie di variabili che lasciano aperte le porte a ulteriori colpi di scena.

Che la giornata di Alitalia sarebbe stata lunghissima era apparso chiaro fin dal primo mattino. Di fronte al gioco delle tre carte tentato il giorno prima dal governo, con la dichiarazione a effetto del ministro Lupi secondo il quale gli esuberi sarebbero stati “solo” 980, era arrivata la secca replica di Susanna Camusso: “Dalle carte non troviamo traccia di una significativa riduzione nel numero degli esuberi. Qui si tratta di una cessione di ramo d’azienda con licenziamenti collettivi, cosa che non è mai stata fatta in altre aziende”. La segretaria generale della Cgil si riferiva al destino dei 1021 addetti Alitalia che – insieme agli altri 980 – dovrebbero lasciare la compagnia aerea e che, secondo il governo, dovrebbero essere ricollocati in altre imprese. Ma lo stesso Lupi aveva dovuto subito ammettere: “Nessuna azienda potrà assumere degli esuberi se non ne avrà realmente bisogno”.

La disinvoltura con cui il ministro dei trasporti e il suo collega al lavoro Giuliano Poletti sedevano al tavolo di una trattativa sempre in salita, provocava anche la reazione di Raffaele Bonanni: “Renzi l’altro giorno ha parlato di Alitalia ma ora deve fare di più. Il governo deve garantire che i lavoratori in esubero vengano riassorbiti o avviati verso altre aziende”. Anche se schieratissimo per una veloce conclusione della vertenza, il segretario della Cisl non poteva dimenticarsi che, di questi tempi, nel settore del trasporto aereo (come in tutti gli altri) le aziende stanno licenziando invece di assumere. Così, di fronte alla recentissima smentita di Aeroporti di Roma su possibili assunzioni di addetti Alitalia, Bonanni entrava nel merito: “Adr potrebbe fare qualcosa in più, scucendo qualche posto di lavoro”. Silenzio tombale in risposta, sia da parte dei diretti interessati che dall’attuale inquilino di palazzo Chigi.

Nel mentre era saltato il ridicolo ultimatum (“Si deve chiudere entro le 11”) di Lupi. Di fronte al gelo sindacale, i due ministri di peso dell’esecutivo di Matteo Renzi hanno azzardato un piano alternativo: per i 2001 esuberi di fatto rimasti dopo che Etihad ha accettato di tenere nella futura nuova società 250 assistenti di volo (in contratto di solidarietà), è stata prefigurata una cigs di alcuni mesi. Il tempo necessario, secondo Lupi e Poletti, perché la moral suasion governativa permettesse una loro riassunzione. Ma a quel punto sono stati i vertici di Alitalia-Cai a protestare. Perché avevano assicurato a Etihad uscite definitive dall’azienda, e non cigs che lasciavano i diretti interessati addetti Alitalia. Di qui la controproposta impossibile di un ok alla cigs ma solo se tutti i lavoratori firmano un impegno scritto a rinunciare a eventuali cause di lavoro. Una procedura dichiaratamente in contrasto con le norme di legge, hanno fatto notare i rappresentati sindacali.

Alla fine l’assai presunta quadra trovata da Lupi è quella di aggiungere alle 250 hostess in solidarietà altri 200 addetti che continueranno a lavorare in Alitalia prendendo (rubando) il posto ad altrettanti stagionali, da sacrificare sull’altare dell’accordo con Etihad. Dei 1021 da “ricollocare”, ma ufficialmente in mobilità, ne resterebbero 681. Per altri 954, dopo la mobilità, ci sarebbe la sperimentazione dei nuovi contratti di ricollocamento previsti dalla legge di stabilità. Il resto, in teoria, dovrebbe dimettersi o andare in pensione. Molto in teoria, come la proposta di Lupi.