>«Nel gioco dei centrocampisti e perfino dei difensori è previsto ma non è raccomandabile il dribbling, termine inglese la cui traduzione è praticamente impossibile». Quando Gianni Brera ammonì in queste righe i tanti «venezia» del calcio italiano – ancor oggi c’è qualcuno duro d’orecchi (e di piedi) – non si conosceva ancora «la virgola» di Javier Zanetti detto Pupi, il capitano dell’Inter del Triplete. L’unico giocatore al mondo capace di correre e scartare gli avversari al primo come all’ultimo secondo di una qualsiasi partita, poco importa se amichevole, della nazionale o di Champions League. Ritiratosi a più di 40 anni, dopo aver vinto tutto, alla fine dello scorso campionato, Zanetti è rimasto nell’Inter, vivendo come calciatore e poi dirigente il passaggio di mano della squadra milanese dalla famiglia Moratti a quella del magnate indonesiano Erick Thohir: un cambiamento a suo modo epocale che però non ha minimamente intaccato il suo stile, fedele sempre a se stesso. Due cineasti italiani, Carlo A. Sigon e Simone Scafidi, che da anni battono terreni e forme visive commerciali e indipendenti, tra pubblicità e web series di genere con qualche escursione più propriamente cinematografica (di Sigon si ricorda il sottovalutato La cura del Gorilla, mentre del secondo tra qualche mese uscirà Eva Braun) hanno legato il loro nome alla complessa impresa di raccontare un uomo così normale nella sua quotidiana esistenza quanto magnifica in quella sportiva, quando è più facile prendere storie tutto genio e sregolatezza. Di questo e di molto altro si è discorso con uno dei registi di Javier Zanetti, capitano da Buenos Aires, Simone Scafidi, alla vigilia dell’uscita del film, distribuzione Nexo Digital in 170 sale, un solo giorno il 27 febbraio prossimo con tanto di kermesse ad inviti all’Auditorium Pirelli di Milano.
Un lavoro cominciato anni fa che però era partito se non ricordo male in altro modo, non è così?
Esattamente quattro anni, anzi era il 2010, il periodo del Triplete e Zanetti si rese immediatamente disponibile. Comunque, con Carlo si voleva lavorare insieme da anni. Avevamo scritto anche un copione per un film sugli scandali finanziari che nessuno però voleva produrre. Sta il fatto che una costola di quel film riguardava anche il mondo del calcio e essendo tutti e due interisti è stato come dire facile immaginare di celebrare in qualche modo la nostra squadra; e chi ci poteva essere di più distante dalla «pazza» Inter se non Zanetti, il capitano più vincente della sua storia? Un uomo specchiato, senza lati oscuri. Un uomo che ha sposato la fidanzatina della scuola. Un uomo umile con i piedi ben piantati per terra, lontanissimo dai calciatori glamour che vanno per la maggiore che si dividono tra veline e tatuaggi.
E i finanziamenti sono arrivati …
Da Moratti e da Luchino Visconti di Modrone, altro interista. Curiosamente quando presentammo il progetto dall’entourage di Moratti ci fu detto che un film su Zanetti avrebbe potuto essere noioso. Al di là della riconoscenza per quello che aveva fatto per l’Inter, Zanetti non era poi così interessante rispetto a calciatori come Zamorano o Cordoba, questi sì che avevano avuto una vita movimentata. D’altronde quando lo avevano comprato dal Banfield, Zanetti era la seconda scelta, dopo Rambert, centravanti che alla Pinetina ha resistito pochi mesi, mentre il capitano ci ha edificato la sua seconda casa.
Curiosamente i ricordi di Mazzola e di Moratti divergono su questo punto. Ma, tornando all’uomo Zanetti, tu e Carlo invece avete creduto alla possibilità di documentare la sua storia …
A noi invece interessava proprio questo. Per noi Zanetti è una specie di blocco di marmo. Si fanno da sempre film sui geni del calcio, fuori e dentro il campo da gioco, con tutte le loro debolezze. Facile prendere Maradona o Gascoigne, ma avere messo le mani sulla storia di Zanetti è stata una bella sfida. Personalmente siamo legati a Zanetti soprattutto ai momenti «drammatici» passati da quell’Inter che non vinceva mai e che come dire incespicava all’ultimo ostacolo.
Ed infatti non a caso il film si apre con le immagini della sconfitta all’Olimpico del 5 maggio di tredici anni fa. Con le lacrime di Ronaldo …
Più che Ronaldo, a colpire è stata la dignità di Zanetti. Con lui l’Inter non l’ha mai persa.
Tranne in un episodio che il vostro film racconta con un espediente drammaturgico.
Sì, la presenza di un poeta e scrittore argentino, per giunta cieco, Albino Guaron, che sta dettando al registratore …
Qui i rimandi a tanta letteratura del ‘900 sono molti, da Borges al Krapp di Beckett …
Proprio così … Guaron sta dettando un romanzo su Zanetti e la prima volta che va allo stadio assiste al racconto non solo di una bruciante sconfitta, ma anche all’unico istante di rabbia del suo eroe, per una sostituzione all’ultimo non gradita. Il tema della sconfitta è un omaggio che volevamo fare a Scorsese. Ricordavamo che avevano iniziato un film su Bob Dylan presentandolo in un momento di difficoltà mentre veniva contestato ad un concerto.
Al di là delle fascinazioni cinefile, risulta interessante anche lo sviluppo del racconto, sostanzialmente di un protagonista «muto», che s’affida non solo all’invenzione, ma anche alla testimonianza, sguardo parziale per eccellenza e alle library di repertorio delle trasmissioni sportive, che nei fatti fa virare il film in direzioni inedite per un prodotto inteso classico come il documentario.
Zanetti nel film non parla mai. A parlare sono gli altri, compagni di nazionale e avversari come Messi. Chi lo ha allenato come Mourihno, che da consumato professionista si era preparato all’incontro, l’emozione che traspare con la lacrimuccia ci ha lasciato esterrefatti e pure nel dubbio. Baggio è stato fantastico, l’incontro è durato molto di più del montato, umanamente è stato incomparabile e non poteva essere che lui a raccontarci il vero Zanetti.