Da tempo il coinvolgimento politico da parte per esempio dei musicisti – al di fuori di chi si è formato negli ambienti militanti – è sempre meno profondo, in favore di un democristianissimo barcamenarsi o di un fregarsene accomodante. Un caso a parte è invece Pierpaolo Capovilla che da tempo ha deciso di metterci la faccia con incontri pubblici e sui social, schierandosi su temi importanti e sovente pagandone dazio: «Ho l’impressione che sia in corso un processo di autocensura nella comunità artistica italiana. Senza ergermi a giudice di nessuno, mi pare che si abbia un certo timore di pestare i piedi al potente di turno, chiunque esso sia. Io sono dispettoso di carattere e di fronte ai mutamenti sociali, economici e quant’altro, sento il dovere sbilanciarmi e dire la mia. Mi piace l’idea di poter approfittare del mio piccolo successo per fare politica sul serio anche se, in realtà, la faccio innanzitutto con le mie canzoni. Se scrivessi testi avulsi dal mondo che conosco sentirei inutile me stesso e il mio lavoro, e a quel punto farei un altro mestiere».

A febbraio la sua band, il Teatro degli Orrori, sarà in tour in Italia e nelle principali capitali d’Europa. Una dimensione internazionale che fa di Capovilla una rockstar consolidata nell’underground e che ci tiene a farsi sentire come cittadino, facendo storcere il naso ad alcuni fan, come quando ha spiegato le ragioni del suo no al referendum: «Una critica in particolare mi ha colpito: un papà mi ha scritto dicendomi che stavo influenzando l’opinione di suo figlio. Gli risposi con una lunghissima lettera, tanto che la messaggeria di Facebook non l’accettava, spiegandogli che la Costituzione mi garantisce il diritto di interlocuzione politica e che essere cittadino non è semplicemente avere il passaporto. Tanta gente vorrebbe che un artista si occupasse solo di questioni artistiche: è un’assurdità, ma anche un sintomo di questa contemporaneità in cui la politica non deve riguardare la vita delle persone. Un qualunquismo ideologico che non scivola in altro più grave grazie a una massa critica attiva di cui mi sento parte». Una volta c’era bisogno del confino per zittire il dissenso politico, oggi sembra che bastino gli stessi social in cui si rischia di essere massacrati. Luca O Zulù per esempio ha subito addirittura aggressioni squadriste: «Luca è napoletano e ha lottato tutta la vita anche contro i poteri criminali. Quando venne aggredito gli feci una telefonata di solidarietà per dirgli: ’ti sono vicino’ Potrebbe capitare a tutti. Di minacce fasciste ne ho ricevute anch’io, ma nell’ordine delle cose, se può essere normale minacciare gli artisti. La libertà di espressione dovrebbe essere la lettera A dell’alfabeto politico di tutto il popolo italiano».

Le canzoni di Capovilla sono calate nel sociale, nei personaggi e nei fatti della storia che più lo colpiscono. Inoltre gira con letture di Pasolini, Esenin o Majakowskij e chi ha potuto vederlo in teatro sa di un pubblico attento, per lo più giovanissimo, conquistato da più di due ore di reading: «Il rock è soprattutto musica, forza primigenia dei concerti, mentre in un reading poetico è la parola del poeta a diventare cruciale. Sono entusiasta di questa parte del mio lavoro perché incontro tanti ragazzi, spesso con i loro genitori, e magari mi ritrovo a essere protagonista di una parte della loro formazione culturale. Se dal rock arriviamo a una cultura più alta è per me motivo di orgoglio».

La rockstar che gode della simpatia dei giovani come medium fra cultura complessa e quella più à la page del rock: «Una volta mi chiamarono a Palazzolo sull’Oglio in un istituto tecnico per raccontare cos’è per me la poesia. C’erano centinaia di ragazzi e insegnanti, durò quasi tre ore e alla fine fummo tutti conquistati dall’idea che gli incontri con una fatua rockstar quale sono, possono diventare preziose occasioni per indurre i più giovani ad amare la letteratura. Sono convinto che qualcuno dei presenti poi sia andato in biblioteca a cercare gli autori che avevo citato. Il lato umanistico della cultura è ciò che ci rende ricchi dentro e ci fa vivere meglio. Oggi è in corso un attacco sistematico all’istruzione pubblica, e la ’Buona Scuola’ ne è l’ultimo esempio, e questo porta all’impoverimento della cultura umanistica dei ragazzi. Si corre verso una società di inconsapevoli qualunquisti. Ecco perché gli artisti possono avere un ruolo per sopperire alle mancanze della diffusione culturale nel paese e così evitare il disastro antropologico che si scorge all’orizzonte».

Nel suo disco solista Capovilla ha scritto una canzone per Mastrogiovanni, Ottantadue ore, per quel TSO infame che ha portato un insegnante a morire in ospedale: «Non sapevo di quante circostanze del tutto analoghe accadano negli Spdc d’Italia dove, fra tante virgolette, si dovrebbero curare i sofferenti mentali. Iniziai a esserne consapevole grazie ai libri e all’amicizia di Piero Cipriano (Il manicomio chimico, La fabbrica della cura mentale, ndr). In seguito ho conosciuto il Forum Salute Mentale, Giovanna Del Giudice, Peppe Dell’Acqua, tutti questi psichiatri democratici profondamente motivati dai valori di Basaglia. Mi sono fatto coinvolgere nella battaglia per l’abolizione della contenzione meccanica perché è una pratica incostituzionale, fascistoide e per niente terapeutica. Su più di 320 Spdc in Italia, solo una ventina sono no restraint, in tutti gli altri si legano i pazienti: una pratica avvilente in cui chiunque può incappare e spesso sintomo di uno schizoidismo di fondo che, alcune volte, trasforma un camice bianco in un aguzzino. Una pratica simile a quella poliziesca dello sbirro – non del poliziotto sano, attenzione – quando prova odio politico nei confronti del cittadino».

Una battaglia a cui hanno partecipato fra gli altri anche Caparezza, Eugenio Finardi e Piotta e che ha creato un movimento d’opinione capace di informare i cittadini, nella speranza concreta che si arrivi a una legge che vieti questa pratica. Arte e cittadinanza attiva.