«La ministra Stefania Giannini è stata rettrice dell’Università per stranieri di Perugia per 10 anni, dal 2004 al 2013, e si è dimenticata proprio di noi? Le classi di concorso per la scuola, disegnate così, sono una vera ingiustizia». Gli insegnanti di lingua italiana per stranieri sono saltati sulla sedia quando hanno visto la Tabella A, quella che fissa i requisiti per l’accesso ai prossimi concorsi per la docenza: i 63 mila posti messi in palio dal premier Renzi, a queste condizioni, per loro che un lavoro stabile lo sognano da anni, sono diventati una chimera. La categoria A23, quella che li riguarda, offre soltanto 500 posti: i docenti attuali, tutti rigorosamente precari, sono almeno 10 mila, ma secondo i calcoli di Riconoscimento, il movimento che li riunisce sul web, l’80% non soddisfa i requisiti richiesti per partecipare alla tenzone.

Cerchiamo prima di fissare un identikit di questa figura, aiutati dagli stessi insegnanti: il numero di 10 mila è soltanto una stima, perché non esistono cifre ufficiali, nonostante siano state richieste. Il fatto è che questi lavoratori trovano impiego in tanti canali: le università, innanzitutto, ma poi anche le scuole private per gli stranieri in Italia, o i centri territoriali permanenti delle scuole pubbliche, dove si fanno corsi per inserire i ragazzi o far imparare l’italiano agli immigrati adulti. All’estero, insegnano negli istituti di cultura italiana, nelle scuole private, nelle Dante Alighieri.

Come si sono formati? Qui sta il punto: negli ultimi venti anni le università hanno tenuto master, scuole di specializzazione e dottorati dedicati a formare proprio gli insegnanti di lingua italiana per stranieri L2LS (L2 sta per “italiano come seconda lingua per stranieri in Italia”, LS per “italiano come lingua straniera insegnata all’estero”), e ammettevano laureati in tutte le discipline umanistiche – «da Filosofia a Lettere, a Beni culturali, Storia, Antropologia», spiegano gli insegnanti di Riconoscimento. Il concorso, al contrario, ha ristretto le maglie: passano solo le lauree in Lettere, Lingue, Linguistica e Filologia, per giunta con l’obbligo di avere in curriculum esami molto specifici.

«È giusto riconoscere l’accesso per competenze, ma sia la ministra Giannini, che da rettrice ha ideato e messo la firma ai nostri master e scuole di specializzazione, sia gli atenei, sanno bene che noi da 20 anni abbiamo accumulato titoli post laurea, competenze e professionalità per insegnare l’italiano agli stranieri. Quindi, ora che si disegna una classe di concorso per la scuola, perché non aprire a tutte le lauree umanistiche, così come hanno sempre fatto i corsi universitari che ci hanno formato, in modo da permetterci di partecipare?».

La vita dell’insegnante di lingua italiana per stranieri è complicata: le scuole private fanno contratti di collaborazione (poche applicano le nuove «tutele crescenti») dalle tariffe orarie più disparate (900 euro di stipendio medio). Un po’ di più pagano le università (1100 euro medi) e le scuole pubbliche (meglio se dietro hanno fondi Ue). Ma sempre, rigorosamente, con rapporti a progetto.

Le scuole pubbliche all’estero sono anch’esse una chimera, perché riservate agli insegnanti di ruolo (non solo di italiano), mentre nelle scuole pubbliche italiane, dopo la riforma della «Buona scuola», sono impiegati sempre di più i cosiddetti docenti di «potenziamento», pure loro senza competenze.

Inutili gli appelli alla ministra Giannini, al sottosegretario Davide Faraone e alla senatrice Pd Rosa Maria Di Giorgi: questi ultimi due hanno ricevuto gli insegnanti, ma le loro promesse non hanno avuto seguito. C’è ancora tempo per modificare la tabella A prima del bando definitivo di febbraio?