La Repubblica titolava così una recente intervista al mio vecchio amico Arturo Parisi: «Il no al referendum? Un’alleanza tra chi odia il premier e chi vuole solo tornare indietro». Confesso di essere sobbalzato. Non già per il suo sì alla riforma costituzionale, di cui eravamo già a conoscenza, ma per una banalizzazione del problema e una rappresentazione caricaturale del vasto fronte del no che non è da lui. Per altro, dopo avere anch’egli osservato che «è il momento di correggere definitivamente toni e comportamenti per concentrarci sull’oggetto e solo su quello … il rispetto reciproco va salvaguardato sempre».

Il rispetto non è solo questione di galateo e di fair play, esso è prima di tutto rispetto della verità delle ragioni altrui per come esse sono avanzate. Davvero il fronte del no può essere tutto rappresentato sotto le due categorie degli odiatori di Matteo Renzi e dei nostalgici cultori dei giochi opachi della vecchia politica? Un giudizio ingeneroso e manicheo che sorprende soprattutto per la sua superficialità, venendo da persona che superficiale non è. Non vi sarebbe, in quello schieramento trasversale, nel quale palesemente figura anche il meglio della comunità dei costituzionalisti, chi più semplicemente giudica cattiva la riforma Boschi?

Reagisco anche per fatto personale: ho stilato e sottoscritto già mesi orsono un documento firmato da dieci parlamentari Pd, non ascrivibili alle varie correnti interne, schierati per il no. Prima che si mettessero in moto gli opposti eserciti, prima della tardiva e incerta attivazione della minoranza Pd per cambiare la legge elettorale quale condizione per passare al sì. Dunque, posizione diversa dalla nostra. Abbiamo ribadito in mille modi che non miriamo a mettere in crisi il governo; che il nostro è un dissenso di merito. Anche noi (Parisi ci conosce di persona) da iscrivere tra gli odiatori di Renzi o tra i servi sciocchi della vecchia nomenclatura manovriera?

Secondo Parisi, non si dà l’ipotesi che, per noi, vi siano buone ragioni per dissentire sul merito della riforma e, più ancora, sul metodo che si è seguito? Metodo divisivo, che ha condotto a una riforma varata da una ristretta e ondivaga maggioranza di governo e che ora sta lacerando il paese.

Un prezzo alto, troppo alto trattandosi della Legge fondamentale a presidio della casa comune.

Non posso non rammentare che, nelle tesi dell’Ulivo, era scolpito il principio che le regole della competizione politica si scrivono insieme. E che nel Manifesto dei valori, cioè nella carta d’identità stilata all’atto di nascita del Pd, si legge: «La Costituzione non è alla mercè della maggioranza del momento… il Pd si impegna a difendere la supremazia della Costituzione e a difenderne la stabilità, a mettere fine alla stagione delle riforme costituzionali imposte a colpi di maggioranza, anche promuovendo le necessarie modifiche al procedimento di revisione costituzionale». Cioè ad alzare il quorum del’articolo 138 che disciplina la revisione della Carta. Esattamente l’opposto di quel che si è fatto.

Ancora rammento che lo slogan con il quale esordì l’Ulivo fu: «Uniti per unire». Tradotto: unire il centrosinistra a servizio dell’unità del paese. Di nuovo, l’esatto opposto di oggi. Avendo avuto anche io una piccola parte nell’avventura dell’Ulivo ricordo che la nostra opzione per il bipolarismo ovvero per una democrazia competitiva e dell’alternanza, che si avvalesse anche di leggi elettorali di ispirazione maggioritaria e di elementi di democrazia di investitura, supponeva però il consenso sulle regole del gioco. La democrazia maggioritaria – così si ragionava – non è lacerante se, a monte, si rafforzano le garanzie costituzionali per tutti, a cominciare dalle minoranze.

Trovo significativo che Parisi non risponda alla domanda del giornalista circa la vistosa differenza tra il Pd renziano – che si rivela anche nel suo appello all’elettorato di destra e nella noncuranza per le lacerazioni nel popolo di sinistra – e il profilo e il posizionamento dell’Ulivo, ideato quale soggetto di centrosinistra inclusivo verso il centro ma anche verso sinistra, nitidamente alternativo al centrodestra. La suggestione del partito della nazione, se non ho sbagliato tutto, è l’esatto contrario del progetto dell’Ulivo.

Caro Arturo, come non nutrire la preoccupazione che, all’opposto dell’Ulivo, il corso renziano, comprese riforme e campagna referendaria, si connoti sotto il segno della divisione? Divisione del paese, divisione del centrosinistra, divisione del Pd, persino divisione di esso dalla sua Carta fondativa.