Fa rabbia la foto del piccolo Aylan in copertina della rivista Dabiq, per illustrare l’anatema dei jihadisti nei confronti di tutti coloro che fuggono dal nascente Stato islamico. Con l’intento opposto, quello di aprire un corridoio umanitario, partirà domani una carovana internazionale, con una folta delegazione italiana, alla volta delle zone kurde sul confine turco-siriano, la zona di Kobane, da dove Aylan e la sua famiglia erano fuggiti per scampare all’assedio e all’Isis. Kobane, città-fantasma diventata il simbolo della resistenza kurda, dove il padre di Aylan, è appena tornato, non per aderire allo Stato islamico ma per combatterlo.

Kobane che ora deve essere ricostruita, perché è solo un cumulo di macerie e chi è rimasto dei suoi 60mila abitanti, per lo più accampati nei paraggi e nei villaggi limitrofi, manca di tutto: acqua, medicinali, corrente elettrica. Per questo, tra i 70 italiani in partenza, inclusi i parlamentari di Sel Giovanni Paglia e Franco Bordo, ci saranno anche quattro operai specializzati, elettricisti e acquadottisti dei Cobas.

Per dare una mano concretamente alla ricostruzione, come ha spiegato ieri Vincenzo Migliucci nella conferenza stampa di presentazione della missione alla Camera. «In realtà sono mesi che sta andando avanti una staffetta di solidarietà, piccoli progetti per ambulatori temporanei e servizi scolastici, per aiutare la gestione dei campi profughi», spiega Amedeo Ciaccheri della rete italiana Rojava Calling.

Ora la carovana di attivisti italiani, ma anche belgi, francesi, tedeschi e argentini, cercherà – tra il 12 e il 17 settembre – di portare aiuti di medicinali, materiali per l’edilizia e strumentazione varia attraversando il confine turco, per culminare in una manifestazione al «gate», cioè al posto di blocco sulla frontiera, martedì 15 settembre.

La carovana, che fa seguito ad un appello internazionale con centinaia di firme di associazioni, personalità della cultura, movimenti politici e sindacati, si propone – spiega il direttore di Un PontePer, Domenico Chirico – «di aprire le porte della Turchia, la carovana deve servire da apripista per i governi europei e l’Onu affinché stabiliscano un corridoio umanitario permanente verso il confine siriano». «Perché – continua – non possiamo guardare ciò che succede in tv laggiù e qua, con i migranti che arrivano, senza fare nulla». La Turchia tiene chiusa la frontiera e per far passare un camion di medicine le ong sono dovute passare dall’Iraq, allungando la strada di 500 chilometri, con grande pericolo.

Attualmente tutti e tre i cantoni de Rojava, esperimento democratico di convivenza oltre i confini e le religioni, è sotto assedio e neppure Demitas, leader del partito Hdp, seppure nella maggioranza di governo, riesce a raggiungere la città di Cizre.