Un matrimonio finito davvero male. In poche ore, quasi fosse un fulmine a ciel sereno. Ma tra Antonio Conte e la Juventus non è andata così. E neppure la pantomima approntata in tempi record, tra video del tecnico che comunica l’addio piazzato su YouTube con inchino ai tifosi e con la lettera da libro cuore di Andrea Agnelli, può cancellare una figuraccia. Collettiva.
Con la Juventus che si è trovata senza tecnico al primo giorno di raduno. Tra la furia dei tifosi bianconeri che sembrano non perdonare a Conte il timing della decisione maturata negli ultimi mesi. La stessa furia, espressa anche su siti e social network, per l’arrivo sulla panchina bianconera di Massimiliano Allegri, presentato ieri. L’addio ha vissuto varie tappe, partendo dalla fine del secondo campionato vinto dalla Juve. Stretta di mano forzata tra allenatore e Andrea Agnelli e conferenze stampa in cui Conte non faceva altro che mandare un unico messaggio: squadra non pronta a vincere a livello internazionale, con strategia societarie sul mercato che non fornivano garanzie per il salto di qualità. Un concetto ripetuto ancora due mesi fa, dopo il terzo scudetto in fila con record di punti, 102: oltre alle motivazioni feroci servono campioni per alzare Coppe. Come Alexis Sanchez del Barcellona, Juan Cuadrado della Fiorentina.

Invece ecco Patrice Evra dal Manchester United, svincolato e oltre i 30 anni, forse Morata, gioiello del Real Madrid, mentre Juan Iturbe era già sulla strada verso l’Olimpico di Roma. Insomma, obiettivi diversi. Con Conte che vuole affacciarsi tra i tecnici che vincono a livello europeo, magari accomodandosi su una panca con proprietario arabo o russo che gli regali pezzi da 50, 60 milioni di euro, mentre la Juventus, tra dominio in Italia, insuccessi in Europa – anche per responsabilità di Conte – e debiti di bilancio, prova a crescere senza fretta. Anzi, pare che la Vecchia Signora avesse comunicato a Conte l’imminente cessione di Arturo Vidal al Manchester United, forse anche quella di Paul Pogba.

Difficile vincere, senza due dei migliori calciatori del club. Di sicuro, Conte appartiene alla categoria dei tecnici che si mettono sempre meno in gioco. Forse per la voracità del calcio, italiano ed europeo, che frantuma vittorie e momenti belli con un clic. È accaduto lo stesso con Josè Mourinho, che quattro anni fa mollava l’Inter pochi istanti dopo aver centrato il Triplete, in direzione Real Madrid. Mou sapeva che la creatura di Moratti andava rivista, forse rifondata, per poi tornare a vincere. Ed è andato via.

E volo diretto Napoli – Milano la scorsa estate, sponda Inter, per Walter Mazzarri. Il Napoli veniva da un secondo posto, con la cessione di Edinson Cavani e le risorse azzurre sul mercato, Mazzarri avrebbe potuto giocarsi la chances del titolo contro la Juventus. Invece ha preferito ripartire da zero dall’Inter. E ora Conte.

Allenatori che scommettono poco su se stessi ad alti livelli, che hanno quasi la necessità di partire da underdog, di dover sempre centrare – o dare l’impressione – l’impresa partendo dalla seconda fila. In Italia succede spesso. Niente a che vedere con la Premier League con tecnici come Alex Ferguson e Arsene Wenger che ha vinto, poi perso, rifondato, per poi tornare in vetta. Addirittura la guida dei Gunners ha impiegato quasi dieci anni per vincere un trofeo, la FA Cup 2014.