Promosso a metà del guado. Fino a ieri ambasciatore italiano al Cairo, anche lui come Giulio Regeni testimone diretto della brutalità del regime di Al Sisi ma soprattutto dei tanti depistaggi che hanno segnato in Egitto le indagini sull’omicidio del ricercatore friulano, depositario di una delle più gravi crisi diplomatiche italiane degli ultimi decenni, formalmente ancora a Roma per consultazioni da quando è stato richiamato, l’8 aprile scorso, Maurizio Massari è stato invece nominato ieri nuovo Rappresentante permanente dell’Italia presso l’Unione europea. Prende il posto del neo ministro dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda, che a Bruxelles – a dispetto del nome – in quel ruolo è rimasto appena due mesi.

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È una promozione ma ha tutta l’aria di una rimozione. Il premier Matteo Renzi ne dà notizia al termine del Consiglio dei ministri: «Ci tengo molto a dire che, su proposta del ministro Gentiloni, -puntualizza in conferenza stampa, a Palazzo Chigi – il Cdm ha nominato ambasciatore capo a Bruxelles l’ambasciatore Maurizio Massari. Allo stesso tempo – aggiunge poi Renzi – per evitare che la sede del Cairo rimanga anche simbolicamente senza ambasciatore, considerando la situazione particolare – anche se oggi registriamo le dichiarazioni del procuratore capo Pignatone, a cui siamo totalmente affidati per le indagini – per evitare anche un solo giorno di mancanza di ambasciatore abbiamo individuato in Giampaolo Cantini, grande esperto di Nord-Africa, nuovo ambasciatore in Egitto». Il quale però, a meno che Renzi non abbia già deciso di far tornare al Cairo l’ambasciatore italiano dopo i piccoli “segnali” di collaborazione mostrati dalle autorità egiziane, dovrebbe rimanere ancora in patria.

Almeno fino a quando non saranno soddisfatte le richieste avanzate più volte, e per ultimo con una rogatoria partita il 14 aprile scorso, dal procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone. Che ieri, insieme al pm Sergio Colaiocco, ha incontrato i funzionari del Ros e dello Sco rientrati dal Cairo dove domenica scorsa hanno preso parte al nuovo vertice con i magistrati egiziani. Pignatone però al momento ha detto solo di non sapere se si arriverà alla verità sulla morte di Giulio Regeni. «Non lo so. Deve essere chiaro che le indagini le conducono l’autorità giudiziaria e la polizia di Stato egiziani – ha detto rispondendo ad una domanda durante una tavola rotonda in Cassazione -. Noi collaboriamo nei limiti del possibile. È una libera scelta dell’Egitto costruire tra le due parti una collaborazione costruttiva. Lo sapremo alla fine della storia». Anche il ministro Gentiloni, che pure secondo Renzi ha chiesto e ottenuto la sostituzione dell’ambasciatore, si affida alle «valutazioni della Procura di Roma».

«Ha ricevuto nuovi materiali, nuovi documenti. Ho visto che danno un giudizio positivo sul metodo, cioè sul fatto che si sia riavviata una collaborazione – ha detto il capo della Farnesina ieri – Sui contenuti vedremo, ma credo che sappiate che la posizione del Governo italiano rimane molto ferma. Vogliamo vedere i risultati prima di dire che le cose stanno andando nella direzione che noi auspichiamo».

Tutti da tradurre, infatti, anche stavolta, i materiali ricevuti nell’ultimo incontro programmato dalle autorità egiziane per ricucire lo strappo con l’Italia e che sembra sia andato meglio di quello tenutosi a Roma il 7 e l’8 aprile scorsi. Nel nuovo fascicolo ci sarebbero i tabulati di altre sei utenze telefoniche, delle 13 richieste, che si aggiungono alle cinque già consegnate a inizio mese. E finalmente forse anche i referti delle autopsie effettuate sui corpo dei cinque «criminali» uccisi dalla polizia egiziana ed indicati post mortem come coinvolti nel rapimento di Giulio Regeni. Una pista che non ha mai convinto i magistrati italiani. Infine una promessa: presto dovrebbero arrivare anche i risultati degli accertamenti della scientifica cairota sugli abiti che indossava Regeni quando venne ritrovato morto, il 3 febbraio scorso, lungo la strada che collega Il Cairo ad Alessandria.

Tra dieci giorni, quando si stima siano pronte le traduzioni dall’arabo di tutto il materiale ricevuto, sapremo se l’Italia – al di là del computo delle nuove vittime del regime di Al Sisi – considererà superata la crisi diplomatica.