Il tanto atteso decreto di scioglimento anticipato del Parlament catalano è stato firmato lunedì sera dal presidente Artur Mas. Le elezioni, come deciso già molti mesi fa, si terranno il 27 settembre. Il che farà opportunamente coincidere il primo giorno formale di campagna elettorale con il giorno della festa nazionale catalana, la Diada dell’11 settembre.

Ma la realtà è che la campagna elettorale è iniziata molti mesi fa, anzi il giorno dopo le ultime elezioni (anche quelle anticipate), il 25 novembre del 2012. In questa legislatura, Mas esponente di una coalizione di due partiti catalanisti di destra, Convèrgencia i Unió (CiU), è riuscito a barcamenarsi con una esigua maggioranza relativa di seggi (50 su 135) con l’appoggio esterno di Esquerra Republicana de Catalunya (Erc), un partito formalmente socialdemocratico ma fondamentalmente concentrato sul tema dell’indipendenza catalana, secondo partito nel 2012 (21 seggi).

Con una politica sostanzialmente di destra di tagli allo stato sociale, con qualche piccolo ritocco, come la decisione di non lasciare fuori gli immigrati dal servizio sanitario come chiedeva Madrid, e forti dosi di nazionalismo a buon mercato, Mas è riuscito in questi anni in un risultato al quale non era mai arrivato nessun presidente catalano dai tempi della Repubblica: riportare al centro del dibattito politico il tema dell’indipendenza catalana, e contemporaneamente cancellare totalmente dall’agenda politica i temi sociali su cui invece l’accordo con il governo centrale è pieno. Per fare questo Mas ha trascinato il suo partito, Convèrgencia Democràtica de Catalunya, e la stessa CiU in un terreno molto scivoloso: tradizionalmente nessuno dei due partiti, uniti in federazione dalle prime elezioni democratiche del 1978, è mai stato indipendentista. E infatti proprio poche settimane fa il socio più piccolo e più a destra della coalizione, la democristiana Unió, ha deciso di rompere e si presenterà per la prima volta sola.

D’altra parte Erc ha abbandonato da tempo ogni ambizione sociale ipotecando la sopravvivenza del fragile esecutivo Mas a iniziative di governo volte a preparare una futura dichiarazione unilaterale di indipendenza. Di fatto, dopo il referendum di autodeterminazione catalano reso illegale dal Tribunale Costituzionale e celebrato “informalmente” il 9 novembre scorso, il governo di Mas aveva i giorni contati. Grazie a Erc è rimasto in sella fino a queste elezioni per sei lunghi mesi di iniziative pre-elettorali di stampo (pseudo)indipendentista e scontri verbali con il governo di Mariano Rajoy, che non vedeva l’ora di parlare di “minacce secessioniste” invece di occuparsi dei problemi sociali sempre più profondi del paese.

Tutto il processo è culminato in un’operazione politica di Grosse Koalition in salsa catalana: CiU, Erc e una serie di entità catalaniste dopo mesi di dibattiti sull’opportunità che fossero presenti nomi politici in una lista unitaria hanno creato “Junts per il Sí” (Assieme per il Sì), il cui numero uno è un ex eurodeputato rossoverde che da tempo ha sposato la causa indipendentista (che dà la copertura a sinistra, così la lista può essere definita trasversale), il numero 2 e 3 sono due donne che presiedono le due principali associazioni indipendentiste, Asamblea Nacional Catalana e Òmnium Cultural (così la lista sarà anche specchio della “società civile” e egualitaria), e finalmente Mas sarà numero 4 (così può nascondersi senza dover vendere la marca del suo partito, che oltre ai tagli è associato a vari casi di corruzione, con quasi tutte le sedi sotto embargo giudiziario) e Oriol Junqueras, leader di Erc, numero 5.

L’accordo è che in caso di vittoria Mas sarà comunque presidente e Junqueras il vice. Un capolavoro politico che potrebbe riuscire a mantenere al potere i due partiti storici catalani minacciati da operazioni di successo come quella che ha portato Ada Colau a diventare sindaco di Barcellona.

In effetti, anche per le elezioni catalane Podemos (anzi, Podem, in catalano) e i rosso-verdi di Icv (associati da sempre in questa comunità autonoma a Izquierda Unida) hanno deciso, in controtendenza rispetto al panorama politico nazionale, di ripetere l’esperimento di fusione: in questo caso il mix si chiama “Catalunya, sí que es pot” (Catalogna, sì che si può, che riprende il motto del 15-M “sí se puede”).

Gli organizzatori ambiscono almeno al secondo posto, ma senza una Ada Colau sarà loro difficile. Il capolista sarà un esponente di battaglie cittadine molto poco noto ai più: Lluís Rabell. Pur difendendo il “diritto a scegliere” (cioè il diritto all’autodeterminazione dei catalani sul proprio futuro) ha scelto di non farne l’asse principale della sua battaglia politica per concentrarsi sulle emergenze sociali.

Due i partiti già presenti nel 2012 ma destinati a crescere. Una è la Cup, gli indipendentisti di estrema sinistra che pur appoggiando le mosse di Mas in favore dell’indipendenza catalana si sono rifiutati di entrare nella candidatura “plebiscitaria” di Junts per il Sí e che sono gli unici che chiedono che ci sia almeno il 55% dei voti a favore dell’indipendenza per poterla dichiarare (la posizione di Junts per il Sí è invece che basterà la maggioranza dei seggi). La seconda, sull’asse opposto sia per quanto riguarda l’indipendenza, sia le politiche sociali, è il partito di Ciutadans, astro nascente della destra spagnola che compete con il Pp sul centralismo e sulle politiche di una destra “moderna” e “presentabile”. Anche se il suo leader lascerà il Parlament per candidarsi alle Cortes di Madrid, la meno conosciuta Inés Arrimadas godrà comunque della rendita di posizione guadagnata nelle elezioni del 24 maggio.

Gli ultimi tre posti se li contendono tre partiti contrari a ogni possibile scenario di separazione. Un consumatissimo partito socialista che dopo aver perso la bussola sociale (era stato egemonico per anni in Catalogna) ha anche perso l’anima catalanista e rischia di rimanere al margine; un partito popolare ormai ridotto al lumicino in una comunità dove ha contato sempre poco e che si è affidato al razzista ex sindaco di Badalona (perdente il 24 maggio) Xavier García Albiol per racimolare qualche voto residuale.

E infine i catalanisti democristiani di Unió che si misureranno per la prima volta con le urne da soli. Insomma, sette partiti, uno scenario politico completamente diverso e nessuno dei capilista del 2012. Il nuovo parlamento catalano riserverà sorprese. E dovrà confrontarsi presto con un nuovo parlamento anche a Madrid.