A Barcellona, quasi tre mesi dopo le elezioni locali, non si sa ancora se Artur Mas riuscirà a farsi confermare alla guida della Catalogna. Le negoziazioni fra la coalizione che lo appoggia, Junts pel Sí, e la Cup, la forza movimentista di estrema sinistra, sono bloccate solo sul suo nome. La Cup, dopo essere riuscita a imporre la sua agenda di rottura sui temi sociali e rispetto ai rapporti col governo di Madrid, e una dichiarazione politica filoindipendentista votata nella prima seduta del nuovo parlamento catalano (e annullata dal Tribunale Costituzionale spagnolo), ora appoggerebbe qualsiasi candidato il cui nome non iniziasse con Artur e finisse con Mas.

Di fatto, i veri vincitori politici per il momento sono loro: i 10 deputati che ostentano nella camera catalana sono indispensabili a Junts pel Sí per poter governare. Con grande abilità, la Cup ha ottenuto il via libera sul «No» a Mas dai suoi militanti in un’assemblea all’inizio del mese e ha rimandato la decisione definitiva a un’altra assemblea da tenere il 27, sette giorni dopo le elezioni per le Cortes di Madrid, elezioni a cui la Cup non si presenta e per le quali ha chiesto l’astensione ai suoi votanti. D’altra parte, tra le file del partito di Mas che è scomparso dalla mappa politica (troppo grande il rischio di associarlo ai tagli e alla corruzione), i mal di pancia si fanno sempre più forti: Mas è accusato di cedere troppo ai diktat degli antisistema pur di garantirsi la poltrona più alta del palazzo della Generalitat. Tra l’altro il 20 Convèrgencia si presenta separatamente da Esquerra Republicana, con cui invece aveva formato Junts pel Sí.

Con il nome di Democràcia i Llibertat e un programma «dialogante« cerca di recuperare una parte dei seggi che in questa legislatura condivideva con Unió, che si è separata dai soci storici proprio per la contrarietà al processo indipendentista (e che a alle catalane non è riuscita a eleggere nemmeno un rappresentante). Attacchi concentrici per Mas: la Cup sostiene polemicamente che «la sovranità non si domanda né si negozia con uno stato demofobo», e Unió che invece accusa Mas di essersi messo fra le braccia degli estremisti invece di cercare una soluzione negoziata con Madrid.

Ma se i democristiani di Unió verosimilmente scompariranno dalla politica catalana, senza la Cup di mezzo, in Catalogna i numeri di domenica saranno chiave per capire i prossimi equilibri. I sondaggi danno in netto vantaggio in un panorama comunque molto frammentato il movimento sponsorizzato dalla sindaca Ada Colau che ripropone la formula vincente nelle elezioni amministrative di maggio con Podemos, Izquierda Unida e i rossoverdi. Anche se inspiegabilmente Alberto Garzón non è stato invitato a nessuno degli eventi di campagna, a cui addirittura parteciperà domani l’inglese Owen Jones, punto di riferimento delle sinistre europee, En comú podem dovrebbe ottenere 10/11 dei 47 seggi in palio in Catalogna, mentre Ciutadanos e Mas dovrebbero ottenerne 9 ciascuno. Esquerra ne otterrebbe tra i 6 e gli 8 – e sarebbe l’unico dei partiti già presenti a Madrid ad aumentare il numero di seggi. Popolari e socialisti catalani ne perderebbero quasi la metà.

Dopo che Pablo Iglesias ha sfoderato la formula del referendum di autodeterminazione – unico partito a livello spagnolo assieme a Izquierda Unida che ha il coraggio di difenderlo – i giochi si sono molto aperti. È la partita di ritorno dello pseudo-referendum celebrato il giorno delle elezioni catalane, che ha visto i partiti favorevoli all’indipendenza raggiungere il 48.5% dei voti, e quelli contro un 40%, mentre i due principali partiti favorevoli a una terza via referendaria, Catalunya Sí que es pot (la coalizione di sinistra analoga a En comú podem) e Unió, insieme raggiungevano circa l’11%.

Da questi numeri, e dall’equilibrio parlamentare che si raggiungerà a Madrid dipende molto il futuro di Artur Mas. Se i partiti catalani non si mettono d’accordo entro il 9 gennaio, automaticamente a Barcellona si torna a votare a marzo.