Per il momento i catalani continuano a essere spagnoli. E pertanto i loro 5 milioni e mezzo di voti sono un bottino prezioso per stabilire gli equilibri del prossimo parlamento di Madrid. In Catalogna si è votato solo tre mesi fa per rinnovare il parlamento locale, ma oggi il quadro potrebbe essere molto diverso. Le negoziazioni per la formazione del governo della comunità autonoma sono ferme.

La coalizione di Junts pel Sì – formata da quello che resta di Convergència democratica de Catalunya (il cui presidente è Artur Mas, attuale presidente ad interim e che ambisce a occupare nuovamente la poltrona più alta della Generalitat) e da Esquerra Republicana de Catalunya, partito storico della sinistra repubblicana catalana – non ha ottenuto la maggioranza di seggi necessaria per eleggere Mas. Negoziano con il movimento di sinistra anticapitalista della Cup, anch’esso sul fronte indipendentista, anche se su posizioni ideologicamente agli antipodi. Insieme, con circa due milioni di voti, hanno ottenuto la maggioranza dei seggi nel Parlament di Barcellona (ma non dei voti espressi) con l’esplicito mandato di lavorare per l’indipendenza.

Mas è disposto a cedere moltissimo sul fronte ideologico pur di rimanere in sella al governo, mentre la Cup è aperta a moderare i toni sui temi più spinosi meno che sul nome di Mas. Almeno fino a oggi. È chiaro che a partire da domani si riattiveranno le negoziazioni – la cui deadline è il 9 gennaio. Non a caso la Cup ha convocato per il 27 un’assemblea dei suoi che sarà vincolante per le scelte politiche del partito. I risultati di oggi saranno dunque molto diversi da quelli di settembre.

Primo, perché la Cup non si presenta. Secondo, perché Esquerra e il partito di Mas, adesso nascosto sotto il nome di Democràcia i Llibertat per evitare di essere associato ai numerosi casi di corruzione, vanno separatamente e difendendo posizioni più sfumate. Quello che è stato portavoce di Mas, Francesc Homs, guiderà la delegazione di Democràcia i Llibertat a Madrid per «scendere a patti» con il governo. Terzo, perché la coalizione Podemos-Izquierda Unida-Rossoverdi di Icv, che vinse le elezioni che portarono Colau a diventare sindaca potrebbe addirittura essere il primo partito in Catalogna – complice un esplicito impegno elettorale della sindaca, mancato a settembre.

Una possibile vittoria che innervosisce, e molto, Mas e compagni, la cui rendita di posizione politica si gioca sullo scontro indipendenza sì o no, dicotomia che En comú podem (questo il nome scelto dalla coalizione di sinistra) rifiuta. E quarto perché in campagna elettorale Podemos ha fatto il grande passo: ha promesso un referendum vincolante entro il 2016. A parte Iu, che non si è mai opposta a un referendum del genere, nessun partito su scala nazionale appoggia l’autodeterminazione catalana.

En comú podem dovrebbe riuscire a ottenere gruppo proprio nelle Cortes di Madrid, e questo evita il problema di sapere in che gruppo (Podemos o Iu) ascrivere i loro deputati. Ciudadanos, partito nato proprio qui nel 2006 su posizioni decisamente anti-indipendentiste, filo-centraliste e di destra, lotta per arrivare primo e confermare di essere oggi il primo partito catalano. Anche Esquerra, come Dl, sta giocandosi tutte le carte per vincere questa disputa tutta, che avrà un peso determinante sulle sorti di Mas.

Pena anche la perdita di Unió, partito democristiano sempre alleato di Convèrgencia, che ha abbandonato il socio in polemica proprio sulla questione indipendentista, sembra che DL avrà molti meno voti che nel 2011, e lo stesso vale per Esquerra. Sia Psc (socio catalano del Psoe), sia Pp otterranno i loro minimi storici in questa comunità. I giochi sono apertissimi e mai come oggi la differenza la faranno poche migliaia di voti.