L’unico successo che il governo Renzi ha raggiunto con il Jobs Act è la legalizzazione del caporalato postmoderno: il voucher, il lavoro-spazzatura che si compra con lo scontrino in tabaccheria. Lo confermano i dati dell’osservatorio sul precariato dell’Inps: tagliati del 40% gli sgravi contributivi alle imprese, il saldo è crollato del 77% rispetto al 2015 ed è più basso del 2014. Nel primo trimestre del 2016 i contratti a tempo indeterminato sono crollati del 33 per cento: 51mila unità, contro i 225mila di un anno fa. Dunque 162 mila in meno, proprio nell’anno dei contributi più alti.

Nei primi tre mesi del 2016 le trasformazioni dei contratti a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato sono crollati del 31%: meno 53.339 contratti. Nel 2014, quando lo stato italiano non aveva ancora iniziato a regalare al capitale privato tra i 14 e i 22 miliardi di euro, era di -42.527. La droga monetaria non è servita nemmeno a creare più occupazione rispetto all’anno peggiore della crisi: il 2014: allora il 36,2% dei contratti era a tempo indeterminato, oggi solo il 33,2% dei nuovi contratti è a tempo indeterminato.

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Il contribuente paga doppio

A rafforzare la tendenza reale, già nota e raccontata tempestivamente su Il manifesto, arrivano i dati sui rapporti precari che invece sono aumentati del 22%, mentre i voucher raggiungono un nuovo record: +45% (+31.5 milioni, una crescita del 75,4% rispetto al 2014). Mese dopo mese, si delinea anche l’esito finale della “riforma” del lavoro renziana: quando, infatti, gli incentivi saranno finiti nel 2018, i pochi assunti con il Jobs Act potrebbero tornare ad essere disoccupati. E il governo, con ogni probabilità, sarà costretto a istituire ammortizzatori sociali eccezionali – sul modello della cig straordinaria del 2007 – per rimediare al flop colossale.

Il contribuente pagherà doppio: prima i fondi ai privati, poi i soldi per rimediare al loro opportunismo e alla strategia programmatica del governo: drogare le statistiche per ottenere dalla Commissione Europea e dalle istituzioni dell’austerità (dalla Bce all’Fmi) il plauso per avere risollevato apparentemente il mercato del lavoro con una delle riforme da loro auspicate. La recente lettera inviata al ministro dell’Economia Padoan dai commissari Dombrovskis e Moscovici elogia la riforma del lavoro italiana. Per icommisssari èla prova della buona volontà dei nostri governanti che procedono nella giusta direzione. Considerati i dati, e la realtà a cui rimandano, è necessario interrogarsi se la strada non porti in un burrone.

Oltre alla concessione limitata della “flessibilità” di bilancio pari a 14 miliardi di euro per il solo 2016, la lettera rivela finalità ultima delle speculazioni italiane sul lavoro: nascondere i dati reali di una crescita senza occupazione e assicurare una delle leggi della diseguaglianza: le perdite sono di tutti, i guadagni sono di pochi. Quella di Renzi non è insipienza, incapacità o canaglia: è una deliberata convinzione populista di truccare i numeri sull’occupazione, e il loro significato, per ottenere guadagni politici e accreditamento personale. Suo complice è la governance europea che cerca di blandire con diplomazia. Quello che è certo è che gli effetti di questa politica sono solo all’inizio e non mancheranno rovesci drammatici.

La bolla si sgonfia

«Avevamo previsto – afferma il segretario confederale della Cgil Serena Sorrentino – che l’occupazione sarebbe cresciuta di circa la metà rispetto a quanto annunciato dal Governo. Avere ragione non è una soddisfazione perché parliamo di circa 15 miliardi di risorse pubbliche investite male e di tante speranze deluse per milioni di giovani italiani». «Il Governo, come diciamo da mesi, può correggere gli errori e cambiare sia il meccanismo della decontribuzione che le norme del Jobs act».

La crescita abnorme dei voucher, divenuti la frontiera della precarietà e, in alcune circostanze, lo strumento per coprire il lavoro nero non sarà arrestato dalla tracciabilità annunciata più volte dal governo: «Occorrerà limitarne in modo significativo l’ambito di utilizzo – sostiene il leader Uil, Carmelo Barbagallo – è stato il taglio degli investimenti, conseguente al fiscal compact a far crollare la nostra economia. Non c’è altra strada: servono investimenti pubblici e privati e restituire potere d’acquisto».

Di «FlopsAct», «truffa Jobs Act», «doping» erano infarcite le dichiarazioni delle opposizioni, a partire dai Cinque Stelle. Al netto di qualche surreale dichiarazione della corte renziana, ieri il presidente del Consiglio ha taciuto, riservandosi probabilmente una risposta nell’esibizione settimanale #matteorisponde sui social convocata in serata. Per ore, ieri è rimbalzato un suo tweet del 29 aprile scorso che oggi può essere consegnato all’archeologia del renzismo rampante: «I dati del lavoro? Dimostrano che #jobsact funziona: #italiariparte grazie alle riforme e all’energia di lavoratori e imprenditori #segnopiù».

Renzi: sui numeri del Jobs Act si dicono balle

La reazione è sempre la stessa. Sui numeri del Jobs Act “sono state scritte clamorose balle” ha detto in diretta facebook e twitter. E poi un’affermazione da brivido: gli incentivi hanno “funzionato”. “È il loro compito – detto Renzi -. Hanno funzionato nel 2015. Nel giro di due anni abbiamo recuperato 400mila posti di lavoro. Abbiamo interrotto la caduta. Nel dare i dati trimestrali dell’Inps si è visto che il saldo positivo è più piccolo dello scorso anno. Non è che ci sono meno posti di lavoro, prosegue ma siccome gli incentivi sono ridotti è cresciuta meno l’occupazione, va meno veloce ma continua a crescere”.

La verità è opposta a quanto detto da Renzi. Il dato che dimostra che gli incentivi non funzionano è quello sull’anno, non sul trimestre dove (ancora) crescono. La tendenza mostra che l’occupazione diminuisce con il diminuire degli sgravi. Nel 2018 si arriverà al punto zero: niente sgravi, niente occupazione. E’ l’effetto tossico creato dai fondi a pioggia. Una droga che non smette di creare allucinazioni a palazzo Chigi.