Nel 1916, Albert Einstein pubblica la prima soluzione delle equazioni della relatività generale, che aveva formulato appena un anno prima. La teoria descriveva lo spazio e il tempo come un’entità unica, la cui struttura risentiva della distribuzione di materia ed energia: la deformazione dello spazio-tempo, a sua volta, governava il movimento della materia e dava una nuova interpretazione della gravità. Nel nuovo lavoro, Einstein giunge a una conclusione interessante: proprio come le cariche elettriche accelerate producono onde elettromagnetiche, così l’accelerazione di corpi dotati di massa, in determinate circostanze, deve creare onde gravitazionali – increspature nello spazio-tempo che si propagano alla velocità della luce.
Inizia così, un secolo fa, una delle storie più complesse, lunghe e affascinanti della scienza moderna. Una storia ricca di passi falsi, a cominciare da quello commesso dallo stesso Einstein, proprio in apertura. L’articolo del 1916, infatti, conteneva un grave errore di calcolo, che costrinse Einstein a pubblicare un nuovo articolo di rettifica nel 1918, intitolato semplicemente «Sulle onde gravitazionali». Neanche questo servì a mettere una parola definitiva sull’argomento e, una ventina di anni dopo, Einstein iniziò a nutrire seri dubbi che le onde gravitazionali potessero esistere davvero: nel 1936, assieme al collega Nathan Rosen, inviò un nuovo studio alla rivista Physical Review, con il titolo «Esistono le onde gravitazionali?». La risposta di Einstein e Rosen era negativa. Ugualmente negativa fu la reazione della rivista, che rifiutò l’articolo (Einstein, piuttosto seccato, lo inviò a una rivista meno prestigiosa, che lo accettò).

La questione si è trascinata per molti decenni, tra grandi difficoltà di natura teorica e sperimentale, e forti scetticismi. Nel 1975, una svolta importante. Analizzando i dati di una pulsar binaria (un sistema di due stelle di neutroni in orbita una attorno all’altra), gli astrofisici Russel Hulse e Joseph Taylor notarono che il sistema perdeva energia in un modo che poteva essere spiegato perfettamente proprio attraverso la produzione di onde gravitazionali. La scoperta (premiata con il Nobel per la fisica nel 1993), diede solidi argomenti a quei fisici che, da tempo, sostenevano la possibilità di costruire sofisticate «antenne» in grado di captare la lieve deformazione dello spazio provocata dal passaggio di un’onda gravitazionale. Negli anni ’90 videro finalmente la luce due grandi progetti internazionali dedicati alla costruzione di antenne di questo tipo: LIGO, negli Stati Uniti, e Virgo, in Italia. L’idea era quella di usare come metro di precisione la lunghezza d’onda di due fasci laser perpendicolari fra loro. Concetto semplice ma di realizzazione incredibilmente complessa, che ha richiesto anni di preparazione e il lavoro di centinaia di scienziati e tecnici per raggiungere la straordinaria accuratezza richiesta: appena un millesimo del diametro di un protone, rispetto a una distanza di chilometri.

Uno sforzo ripagato il 14 settembre 2015, quando il segnale gravitazionale generato dalla collisione tra due buchi neri (altro concetto scaturito dalla straordinaria teoria einsteiniana) è stato captato dall’antenna LIGO, da poco rimessa in funzione dopo un aggiornamento.
Dunque, nonostante sia ormai centenaria, la massima creazione di Einstein – che il fisico Lev Landau riteneva «la più bella delle teorie» – non vuole saperne di mostrare difetti. Anche la più sfuggente delle sue previsioni, l’esistenza di quelle onde nello spazio-tempo di cui persino lo stesso Einstein dubitava, è stata brillantemente confermata dalle osservazioni. La cosa comincia a essere un tantino frustrante, visto che i fisici teorici vorrebbero trovare qualche crepa attraverso cui scrutare, verso una descrizione ancora più accurata della realtà. E chissà che non sia proprio la nuova astronomia gravitazionale, nata con la scoperta di LIGO, a rivelarci qualche aspetto sorprendente della natura.
*astrofisico del Dipartimento di Fisica di Tor Vergata a Roma