E riporto ora da questo mio-nostro diario di chi non può ma vorrebbe, non vede e non sente ed era ancora il 2013 …
Giorgio, carissimo amico d’adolescenza e gioventù, e cioè di sempre (ora malatissimo) mi ricorda al telefono di me e di lui a Spoleto nel ’59 che sperduti (dormivamo a Trevi, Spoleto era troppo cara) vedemmo pieni di meraviglia Pickpocket di Bresson (l’avevano presentato a Cannes a maggio), e per le viuzze di Spoleto cercavamo di inseguire Jeanne Moreau (per vederla da vicino), e poi da un palco (datoci da Caterina Valente, aggiunge Giorgio, io non ricordo questo…),ancora guardavamo Nurejev e Margot Fontaine che era Giselle.
Ora lui, Giorgio, vive solo di cinema che vede alla tv, a Fuori Orario, e in dvd, e mi dice di Gebo e l’ombra, l’ultimo de Oliveira; è anche lui come me di Chivasso ma andato via, prima in Lombardia-Emilia, poi è rientrato a Torino, ora è malato e non esce più di casa. Lo dovevo filmare come pirata per il mio film Iolanda, da Salgari, che scruta lontano con il cannocchiale dalla finestra della sua casa in città al piano rialzato; ma non è successo e allora sarà in un mio altro film.
Giorgio è stato una colonna del mio underground tra il 1967-69, diciamo come attore ma non è neppure giusto dire attore trattandosi allora di film-non-film, oltre tutti i possibili confini e delimitazioni e definizioni di ruoli, cioè quel cinema l’abbiamo creato insieme, e lui è anche nel film di Pia Epremian De Silvestris Proussade, stava nella ronda che Pia con la sua super8 aveva tessuto intorno alle figure della Recherche da Proust (e attraversando anche Sade)…
Mi dice, Giorgio, che L’Argent di Bresson è preso da un racconto di Tolstoi: quale?

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Per noi il detonatore finale fu l’incontro con gli attori del Living Theatre nella prima metà degli anni Sessanta, che tornavano poi ogni anno e si spargevano nelle nostre case aggregandoci ancora di più; Giorgio si perdeva con loro più di tutti.
Paradise Now ci dicevano, e il paradiso era qui ed ora nel presente, e in effetti stando con loro che per primi ci comparvero coi vestiti variopinti e strani, che stravolgevano le regole del vivere insieme, il mondo e la vita ci apparvero anche diversi, così come possibili ogni cambiamento e trasformazione…
Giorgio Piazzano mio-nostro amico di Chivasso, la provincia a 25 km da Torino sui treni pendolari su e giù Chivasso-Torino-Chivasso a correre per vedere un film in un cinema lontano di periferia; Carmen Jones ricordo 1954, Otto Preminger, e l’ultimo treno da Porta Susa al rientro partiva a mezzanotte e un quarto e le corse per prenderlo per poi tornare a Torino il mattino dopo assonnati a scuola. Lui, Giorgio, quando l’ho conosciuto portava già i jeans, io no i jeans pas encore (e i jeans erano all’inizio più che mai segno di trasgressione, si pensi un po’ cosa sono diventati oggi…). Al punto che Peccatori in blue jeans fu il titolo italiano di Les Tricheurs, 1958, film di giovani di Marcel Carné. Lui, Giorgio, già da sempre in jeans con la vocazione del precursore che è all’avanguardia…
E lui era insieme ogni giorno a Emma, sua nipote e coetanea anche lei in jeans, erano il bianco e il nero, e la terza con loro era Pia, il rosso fuoco (Epremian poi per il cinema underground e De Silvestris per la psicanalisi infine) nostra comune grande amica, tutti e tre divoratori (e io con loro) di cinema che allora si vedeva nelle sale di Chivasso ogni sera (e Pia arrivata da Torino tardi non riusciva a far cena e si portava pane e gorgonzola al cinema, lei aveva gusti forti, da camionista).
E così anche insieme diventammo poi «facitori di cinema» e la traduzione di film-makers era allora di Fernanda (Pivano) che un giorno mi chiamò al telefono e mi disse di descriverle Il Mostro verde (il primo film di me e Paolo Menzio e tutti gli amici compresa la grande Mara Di Fabio la nostra vate, 1966-67) perchè lei, la Fernanda, doveva scrivere un articolo e non aveva tempo di venire a Torino a vedere il film (allora non c’erano i dvd), e Giorgio mi aiutò al telefono a descrivere il film.
E oggi questa cosa che mi pare piuttosto incredibile e avviene nel corso del tempo, e noi che sopravviviamo siamo diventati volenti nolenti testimoni di momenti altri, altra storia, altra aria. E può succedere che appunto la parola «altro» sia la più appropriata in questo caso, quando (un anno dopo quello che ho riportato prima), il mercoledì 9 luglio, ho saputo che è morto in ultimo in ospedale (si è lasciato andare…) il mio-nostro amico e un tempo compagno di vita-sulla-vita Giorgio Piazzano.
In memoria di un vero cinefilo cinephile è questa volta il titolo, e ogni volta che si scrive «In memoria di» ci si sente più che mai definitivi e si ha ancor più timore di esserlo. E così ora non potrò più dargli il regalo di Natale che non gli ho dato, Johnny Guitar (e devo dire film di Nicholas Ray?), il dvd che avevo comprato a Parigi proprio per lui perchè mi aveva detto che qui in Italia c’è solo una copia brutta, e rimarrà lì incartato nella carta blu lucente a perenne memoria.
La passione del cinema è di sicuro qualcosa che nasce con noi e diventa una fiaccola, vero Giorgio? E oggi in dvd la Jennifer Jones di Bernadette e Duello al sole, e il grande John Garfield sono in Stanotte sorgerà il sole, We Were Strangers, John Huston 1949, un film che tu Giorgio di sicuro conoscevi.

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E a momenti io lui (Giorgio) l’ammazzavo nel 1964 estate andando al mare e guidavo la mia 500 bianca capote scoperta, avevo preso la patente da poco e dicevo – «Ad ogni curva un mondo nuovo!». E ad una curva la macchina è appunto andata fuori, e poi all’ospedale che Giorgio non si sentiva tanto bene, eravamo in quattro, e a momenti morivo io al suo posto per il terrore di avere lui sulla coscienza per tutta la vita! E (e sottolineo la «e» congiunzione) dunque la mattina, che era sabato 12 luglio 2014, rientrati in campagna dopo il funerale, c’è di nuovo alla radio qualcosa di cantato molto bello a più voci che conosco bene e però non so più riconoscere subito; e c’è il Dolorosa e poi scoppia Dies irae Dies illa e direi allora di nuovo Verdi e di nuovo il suo supremo Requiem, e le voci che si rincorrono ripetono accavallano «Requiem Requiem». Ed è cantato questa volta Requiem aeternam proprio per Giorgio, e dobbiamo-vogliamo dire grazie nonostante la pompa magna e gli sproloqui al centenario 1914-2014, la Grande Guerra con la cosiddetta celebrazione dei caduti. Perché allora alla radio tutti questi Requiem ripetuti, e qui in Verdi si direbbe l’ascolto diventi devozionale, caro Giorgio agnello sacrificale per tutti noi che ancora non ci offriamo all’aldilà.
E adesso alla radio l’opera di Richard Strauss su libretto di Hoffmansthal Elettra. E tornando ai bambini di Roma città aperta, una scena che sta in disparte rispetto al resto ma io la ricordo bene: la bimba dopo che i maschi hanno fatto scoppiare la bomba, dice qualcosa come: «Ma anche le donne possono fare l’eroismo?». Ma forse non sono proprio queste le parole, sono più forti quelle che ha scritto Amidei nella sceneggiatura (ma c’è anche Fellini con lui e Rossellini), e poi c’è Marcello Pagliero che non fa solo l’attore principale (collaborerà anche alla sceneggiatura di Paisà) io cito la battuta della bimba ma davvero non so mai citare e intanto si vede il più piccino che fa la cacca sul vasetto e alcuni altri e altre che stanno vicino. E insieme a Rossellini ri-trovare Renoir, riscoprendo ogni volta che nulla ha fine in questa ghirlanda che si va facendo (ininterrotta).