Nel 1980 la terrà tremò tra l’Irpinia e la Basilicata: una scossa lunga un minuto e mezzo di magnitudo 6,9; 6,5 della scala Richter, decimo della Mercalli; quasi tremila morti. Castelnuovo di Conza e Teora furono rasi al suolo, Cerreto Sannita (120 chilometri più a nord) rimase intatto. Quella della cittadina beneventana è la storia di un paese costruito con criteri antisismici nel Regno di Napoli. A segnare lo spartiacque è il terremoto del 1668 con epicentro alle pendici del Matese: secondo gli storici la scossa superò il decimo grado della scala Mercalli.

Dei circa 8mila abitanti di Cerreto ne morì la metà: la parte alta della città collassò su quella bassa. La maggior parte dei superstiti avrebbe voluto ricostruire il paese esattamente dov’era: sulla collina, vicino al tratturo che li collegava con Boiano e da lì verso la Puglia, come imponeva la transumanza del bestiame. Cerreto del resto viveva grazie a due attività: l’allevamento e la produzione dei panni di lana. Nei pressi del vecchio centro c’erano i corsi d’acqua che alimentavano i mulini e la tintoria. Alla fine però si imposero i feudatari del luogo, i Carafa, che avevano portato da Napoli un team di ingegneri, capitanato da Giovanni Battista Manni.

La ricostruzione avvenne più a valle, vicino alla via di collegamento con la capitale del regno, nei pressi dei torrenti Turio e Cappuccini, soprattutto su un terreno molto più stabile di quello in collina. I periti dei Carafa sondarono la zona: nel sottosuolo c’erano grossi blocchi di roccia calcarea e banchi stratificati che avrebbero dato stabilità al nuovo centro urbano. A metterli sull’avviso le stesse evidenze del terremoto del 1668: Cerreto a monte era franata su se stessa mentre la vicina Cusano, costruita su roccia, non aveva subito danni. La prova del nove arrivò nel 1694: un altro terremoto si abbatté sulla zona, i nuovi edifici ressero.

Non solo fondamenta stabili: gli ingegneri furono accorti nel posizionare i varchi nelle murature; le cantine con il tetto a volta; le finestre degli edifici realizzate con la “frattura predisposta”, cioè in due blocchi con un margine al centro che consente lo scorrimento in caso di sisma. Nelle case a torre della piccola borghesia la camera da letto era al primo piano, pronti per scappare, e la cucina al secondo. In quanto alla pianta del paese, venne stabilito che gli edifici dovessero avere massimo tre piani, le tre strade principali larghe per consentire la fuga (con una distanza da un edificio all’altro di circa 12 metri, 7 per le strade secondarie); le tre piazze sistemate all’estremità e al centro, per raccogliere i superstiti. I risultati furono ottimi perché Cerreto sopravvisse a un nuovo terremoto, nel 1805.

Anche i tempi della ricostruzione furono esemplari: il paese venne sostanzialmente messo in piedi in otto anni, gli abitanti parteciparono alla progettazione delle case, ridisegnate in base anche alla loro attività professionale, con le botteghe artigiane al piano terra e l’abitazione sopra. Fu possibile coprire le spese perché la cittadina aveva una sua economia e molti cedettero il proprio bestiame. I suoli erano di proprietà di diverse famiglie che ebbero l’obbligo di venderli: i Carafa finanziarono i lavori con prestiti senza interesse, le somme dovevano essere restituite dai cerretesi entro tre anni, superata la soglia scattava l’interesse del 6%. Chi aveva ottenuto un suolo doveva iniziare subito i lavori, pena l’allontanamento in favore di altri. La precedenza venne data alle case e alla produzione di panni di lana, chiese e palazzi nobiliari vennero completati per ultimi a metà del Settecento.

L’industria tessile locale resse, mentre la pastorizia cedette il posto a una nuova attività. Con gli ingegneri, infatti, arrivarono da Napoli anche molti artigiani, tra cui i ceramisti. La produzione era già presente grazie all’abbondanza di creta e acqua ma l’arrivo dei maestri diede una nuova qualità alle creazioni locali. Così nei pressi della Cattedrale nacque il quartiere dei ceramisti.

Dall’epoca vicereale a oggi, i terremoti si sono susseguiti ma la progettazione collettiva degli abitanti di Cerreto Sannita e le tecniche di costruzione del Seicento hanno retto a ogni scossa.