Gli spaventosi eventi di Parigi, con l’attacco odioso a Charlie Hebdo, ci ricordano che libertà e democrazia non sono mai totalmente acquisite, nemmeno in Europa. E se è vero che parliamo di criminali che usano la religione come un kalashnikov e che sicuramente non hanno nulla a che vedere con i milioni di musulmani che vivono nelle nostre società, è anche vero che tutti, anche i musulmani stessi, hanno una diretta responsabilità nel non permettere che questi atti giustifichino derive illiberali, nuovi e vecchi razzismi, nuove e vecchie frontiere, intolleranza e divisioni tra persone diverse fra loro ma in grado di vivere insieme.

La discussione su come fermare i «barbari» e come impedire che episodi come questi diano ancora più voce a chi, da Le Pen a Salvini, non ha soluzioni ma è bravissimo a soffiare sulla paura, è direttamente legata al come uscire dalla crisi economica, sociale, politica che attanaglia una parte importante dell’Ue. In questo senso, la capacità di cambiare i rapporti di forza dentro e fuori le istituzioni europee nei prossimi mesi è davvero cruciale. Come sarà cruciale avviare un vero dibattito europeo, capace di superare diffusissime false verità, secondo le quali, per esempio, per i tedeschi pagano sempre tutto loro, in Grecia tutti si sentono vittime innocenti di un complotto nordico e in Italia ci si aspetta da un momento all’altro di essere invasi da orde di clandestini.

Sembra proprio che solo uno «shock» possa permettere di cambiare il tran-tran brussellese di parametri, regole e tagli, che continua nonostante i discorsi di Juncker e l’agitazione di Renzi. Che fare allora? Il primo appuntamento importante di questo 2015 sono le elezioni in Grecia del 25 gennaio prossimo. Vincerle non sarà sufficiente per Syriza e i suoi eventuali alleati, se altri governi (a partire da quelli italiano, francese, spagnolo) con almeno una parte della Commissione e del PE, non sosterranno una linea chiara di discontinuità: a cominciare dalla riapertura delle condizioni e dei tempi per il rientro della Grecia dal suo debito, per arrivare ad una ridefinizione del Piano Juncker, secondo priorità e disponibilità finanziarie ben diverse dalle attuali.

Sul primo punto, la devastazione creata dalla attuale depressione economica e sociale in Grecia è una delle principali sfide politiche e morali per l’Ue nel suo complesso; ci sono proposte molto concrete che si possono sostenere, per arrivare a un compromesso costruttivo in modo da permettere al nuovo governo di ottenere una rinegoziazione degli impegni, con condizioni chiare volte a fornire un beneficio tangibile per il popolo greco e un percorso rassicurante anche per i partner europei. Lo sforzo di rottura con le vecchie pratiche, però, non deve interessare solo la Grecia, ma l’insieme delle decisioni che stanno nell’agenda europea nel 2015; dalla governance economica, al rilancio del dibattito sulle risorse proprie, all’Unione energetica e i negoziati sui cambiamenti climatici e naturalmente il Piano Juncker.

Quest’ultimo è certo limitato e il processo di decisione su quali progetti finanziare non è ancora chiaro. Esistono però delle reali possibilità per influenzare in senso «virtuoso» questo processo e agire creando una sinergia con le normative europee più avanzate, in particolare in materia di energia, di politiche urbane, industriali e agricole1. Certo, per realizzare questo cambio di passo, ci vuole la capacità di molti degli attori coinvolti a pensare ed agire in un’ottica «europea». E su questo, purtroppo, ad oggi nessuno è in grado di dare garanzie credibili.