Jihadi John ha solo 26 anni. Così era stato ribattezzato dai media internazionali il boia dell’Isis, il frontman dei video delle esecuzioni spedite nel mondo via web. A identificarlo sono stati i servizi segreti inglesi: si tratterebbe di Mohammed Emwazi, cittadino britannico, nato in Kuwait ma cresciuto a Londra, a Lancefield Street, quartiere a maggioranza musulmana, case popolari, gang e traffico di droga.

Di nuovo un foreign fighter, un combattente straniero, a riprova di dove il califfato va a pescare, tra i giovani musulmani europei spesso marginalizzati economicamente e socialmente nel vecchio continente, orecchio pronte per le sirene islamiste: secondo l’intelligence Emwazi, una laurea in informatica all’Università di Westminster, sarebbe arrivato in Siria nel 2012.

L’uomo che giustiziò il primo ostaggio Usa, James Foley, e poi Sotloff, Haines, Henning, Kassig e i giapponesi Yukawa e Goto, fu arrestato nel 2009 in Tanzania durante una vacanza: detenuto e poi deportato in Gran Bretagna, fu accusato dai servizi segreti di Sua Maestà di voler entrare illegalmente in Somalia per unirsi ai qaedisti di al-Shabab. Gli ufficiali tentarono poi di reclutarlo come informatore. Emwazi rifiutò, si avvicinò a gruppi islamisti estremisti e qualche tempo dopo si trasformò in Jihadi John.

«L’intelligence britannica è sistematicamente impegnata nel vessare giovani musulmani, rende loro la vita impossibile e li lascia senza supporto legale a cui appoggiarsi», spiega Asim Qureshi, direttore di Cage, organizzazione britannica per i diritti umani. Qureshi incontrò il giovane nel 2009, ancora sotto choc per il trattamento subito nei mesi precedenti. «Avevo un lavoro lì e stavo per sposarmi – scriveva in una mail Emwazi a Qureshi nel 2010, dopo che gli era stato impedito di trasferirsi in Kuwait – Ma ora mi sento come prigioniero a Londra. Una persona controllata dai servizi segreti, che mi impediscono di vivere la mia vita nel mio paese natale».

Mentre il mondo veniva a conoscenza della vera identità di Jihadi John, raid Usa colpivano le postazioni Isis a nord della Siria dove nei giorni scorsi i miliziani hanno rapito centinaia di assiri cristiani. Lunedì, a poche ore dal sequestro, si parlava di 90 rapiti, ma – secondo il Consiglio Militare Siriaco, unità che combatte con le Ypg kurde – sarebbero 350-400. Quasi mille le famiglie in fuga, 5mila i profughi.

Secondo fonti locali, la vasta operazione è la risposta islamista alle recenti sconfitte inflitte dai combattenti kurdi. Il possibile obiettivo è uno scambio di prigionieri: i civili assiri in cambio degli islamisti detenuti nelle carceri kurde. C’è però anche chi vede nel sequestro di massa un messaggio per la coalizione: secondo fonti kurde, donne e bambini saranno usati come scudi umani per impedire i raid Usa e – spiega Osama Edward, presidente dell’associazione per la difesa degli assiri – sarebbe pronto un video per la coalizione: stop ai bombardamenti in cambio della vita dei rapiti.