Non c’è dubbio che Mario Draghi sia uno di quegli uomini che quando parla è bene starlo a sentire. Sia che si concordi o meno. Celebre ed efficace è stato il «whatever it takes!» pronunciato nel luglio del 2012 che ha permesso di evitare – almeno finora – l’implosione dell’Eurozona e della moneta unica. Per questo non si può restare indifferenti di fronte alla denuncia nei confronti di «forze che cospirano per tenere bassa l’inflazione» che il Presidente della Bce ha elevato in una pubblica conferenza organizzata dalla Bundesbank a Francoforte.

Di solito era la sinistra a indulgere alle teorie del complotto. Al punto che uno dei più importanti dirigenti del Pci, Aldo Tortorella, intellettuale raffinato e dotato di senso dell’umorismo, è solito ironizzarci sopra, dicendo che la sinistra è spesso vittima delle sue stesse macchinazioni. Qui invece il “complottismo” viene agitato da ben altra sponda.

Da quando la dichiarazione è comparsa sulle agenzie di tutto il mondo si è aperta una caccia all’interpretazione autentica del pensiero draghiano. Cosa avrà voluto dire? Con chi ce l’ha questa volta? Non vogliamo ergerci a esegeti, ma forse se applichiamo lo schema “alla Tortorella”, cambiandone i protagonisti, ci avviciniamo alla verità: i cospiratori vanno ricercati tra i palesi responsabili della grande crisi.

La stessa Bce nel suo bollettino mensile prevede «che i tassi di inflazione rimangano estremamente contenuti o che passino in territorio negativo nei prossimi mesi». L’obiettivo della Bce, di raggiungere e stabilizzare il 2% di inflazione è quindi assai lontano. Per questo Draghi aveva assunto nuove misure e un potenziamento del Quantitative Easing. Ma l’esito, come non era difficile prevedere, è stato per ora una debacle. Al punto che le previsioni della stessa banca centrale su un innalzamento dei tassi inflazionistici alla fine del 2016 non appaiono fondate altro che sulla speranza che le nuove misure di politica monetaria abbiano una qualche influenza diretta sulla crescita dell’economia reale. Poiché questo non è avvenuto, malgrado i fiumi di denaro pompati dalla Bce, non vi è ragione di credere che possa avvenire domani a situazione dell’economia reale inalterata. Siamo nel campo assai aleatorio del pensiero desiderante, ovvero del wishful thinking.

Chi sono dunque i «cospiratori»? Le forze che concorrono a tenere bassa l’inflazione? Non c’è bisogno della cassetta degli attrezzi del piccolo investigatore per scoprirlo. Basta guardarsi intorno. Sono in primo luogo le forze economiche e politiche che con particolare accanimento in Europa perseguono politiche di austerità e torsioni neoautoritarie, che impediscono lo sviluppo della domanda di consumi, non solo materiali, e di investimenti in settori innovativi capaci di rispondere ai bisogni di una società matura. Quelle che distruggono il welfare state per farne un campo di conquista della finanza. Quelle che aprono alle pretese del Regno Unito – vedi il nuovo progetto di Donald Tusk, presidente del Consiglio europeo, per impedire Brexit (considerato assai più pericoloso di Grexit) – di distinguere tra lavoratori nazionali e migranti in termini di accesso al welfare, mettendo in discussione così uno dei pilastri dello stesso mercato unico, ovvero la libertà di circolare e lavorare a parità di diritti sociali rispetto ai residenti locali.

Sono le forze che infieriscono brutalmente sul sistema pensionistico greco. Quelle che puntano tutto sulla speculazione finanziaria quale forma preferenziale se non esclusiva di massimizzazione dei profitti, facendo così levitare nuovamente la massa di titoli finanziari derivati sopra ai livelli antecrisi. Sono quelle che giocano sul prezzo del petrolio e delle materie prime, anche contro i loro interessi immediati in nome di mirabolanti disegni di riposizionamento su uno scacchiere mondiale in movimento, minacciato da guerre che si allargano. Quelle che si preparano a fare le barricate contro l’invasione dei prodotti cinesi, a seguito dell’accettazione della clausola di economia di mercato, mentre contemporaneamente spingono per la firma del Ttip, che renderebbe indifendibile lo spazio giuridico ed economico europeo dal dominio delle multinazionali a prevalenza statunitensi.

Quelle, come il “nostro” Renzi, che invocano la flessibilità per alcuni decimali contro le norme di trattati che essi stessi hanno contribuito a scrivere, e a costituzionalizzare, anziché proporsi di cambiarli da cima a fondo.