Vannino Chiti, capo negoziatore della minoranza Pd, la mediazione che avete chiuso con il governo introduce in Costituzione una formula complicata: non una semplice elezione diretta dei senatori ma una designazione affidata alla ratifica dai consiglieri regionali. Avete dovuto farlo dopo aver accettato l’idea che l’articolo 2 della riforma costituzionale non poteva essere riaperto.
Non è così, tant’è vero che abbiamo mantenuto i nostri emendamenti per rispetto al presidente Grasso che deve esprimersi sull’emendabilità dell’articolo 2. Abbiamo però riguardato bene i precedenti. C’è quello rilevante del ’93, protagonisti i presidenti Spadolini e Napolitano che riaprirono un articolo dopo un doppio voto conforme, ma allora tutti i partiti erano d’accordo e ora no. Restando nell’ambito di un comma sicuramente emendabile (il 5 dell’articolo 2) abbiamo trovato una soluzione per niente complicata. Quando ci sono le elezioni regionali i cittadini con il loro voto determinano quali tra i candidati consiglieri regionali sono eletti senatori. I consigli regionali si limitano alla ratifica «in conformità con le scelte degli elettori».
Se avesse potuto scrivere la norma cambiano l’articolo 2 l’avrebbe scritta così?
No, avrei scritto quello che ho scritto con gli emendamenti. Ma il risultato è ugualmente chiaro. Non sarà la trattativa tra i gruppi in consiglio regionale a determinare chi andrà a fare il senatore, ma il voto dei cittadini. È la prova che si può superare il bicameralismo paritario salvando il diritto di scegliersi i rappresentanti.
La soluzione è un rinvio alle leggi elettorali regionali. E con i listini bloccati la scelta finale dei senatori può restare in mano ai capi partito.
Non è così, ora il principio è scritto in Costituzione. Il rinvio è alla legge nazionale che deciderà il quadro entro il quale gli statuti regionali dovranno adeguarsi. E c’è la sentenza della Corte costituzionale che ha bocciato i listini bloccati, nessuno si azzarderà a riproprorli. Se si azzardasse avrebbe la nostra opposizione e troveremmo anche chi fa ricorso alla Consulta. Ma non sarà così, prendere in giro i cittadini è pericoloso. A differenza di quanto accade con l’Italicum per i deputati, avremo almeno l’80% dei senatori (tutti i consiglieri) scelti dai cittadini.
Gli elettori avranno due schede, una per eleggere i consiglieri regionali semplici e una per eleggere i consiglieri regionali senatori. Ma l’articolo 2 della riforma, al comma 6, assegna a ogni forza politica, regione per regione, un numero di consiglieri-senatori proporzionale ai seggi in consiglio. E se gli elettori votassero in maniera disgiunta tra le due schede? Potrebbero essere esclusi dal senato proprio i consiglieri più votati per quell’incarico.
Premesso che l’elezione deve essere proporzionale perché il senato non dà la fiducia, la sua mi pare un’ipotesi fantasiosa e improbabile. Se si verificasse vorrebbe dire che quel partito ha sbagliato i candidati.
Avete ancora i vostri emendamenti. Se Grasso riaprisse l’articolo 2 voterete per l’elezione popolare diretta dei senatori o siete vincolati dall’accordo con Renzi?
Sarebbe da parte di Grasso una decisione innovativa. Nel caso i nostri emendamenti sono lì. Devo dire però molto sinceramente che a quel punto sarà chiesta una sospensione del dibattito. Immagino che tutti vorrebbero rivedere le loro mosse in relazione a quella decisione, anche chi fin’ora si è dimostrato insensibile alla richiesta di elezione diretta. Al punto in cui siamo tutta la maggioranza ha accettato il principio che i senatori devono essere scelti dai cittadini.
L’accordo che avete firmato vale per i 74 senatori-consiglieri e non per i 21 senatori-sindaci: questi saranno ancora scelti dai consigli regionali senza alcun legame con le indicazioni dei cittadini.
Per il momento l’argomento è chiuso. Per il futuro vedo due strade: o i sindaci di una regione eleggono il sindaco che li rappresenta e il consiglio regionale ne prende atto. Oppure anche i sindaci vengono indicati nelle liste comunali che si votano con le preferenze e il sindaco che ha più preferenze in regione diventa senatore.
Ma in questo caso sarebbe sempre il sindaco del comune più grande.
A parità di gradimento è un esito molto probabile. Non nego che ci siano questioni ancora da risolvere, che funzionano poco. Per esempio gli ex presidenti della Repubblica nel senato delle autonomie: prima o poi qualcuno se ne accorgerà. O i senatori «semi a vita», che al limite avrebbero più senso come deputati. O gli eletti nel collegio estero, 12 alla camera che dà la fiducia e nessuno al senato che garantisce la rappresentanza. Ma sono questioni minori rispetto a quella che abbiamo risolto.
Che però sarà applicabile solo in concomitanza alle elezioni regionali, dunque i primi senatori continueranno a essere scelti solo dai consiglieri regionali com’è scritto nella norma transitoria.
La norma transitoria va discussa, deve trovare un limite rigoroso all’interno di questa legislatura. Io penso che entro il 2018 l’attuale senato e l’attuale camera debbano fare la legge elettorale quadro, così da dare la possibilità alle regioni di adeguare gli statuti. Non sarei d’accordo a congelare il potere dei cittadini di scegliere i senatori per cinque anni o per tre o per due. Siamo in grado di consentire che i componenti del nuovo senato siano da subito scelti dai cittadini in ogni regione.
Dall’intesa con la maggioranza è rimasto fuori il caso del presidente della Repubblica che può rimanere appannaggio di un solo partito.
È una grande questione aperta che tocca gli equilibri tra gli organi dello stato e non si può rinviare. Era sbagliato il primo testo del senato che permetteva a chi vinceva le elezioni di eleggersi il suo presidente. Ma dal predominio della maggioranza siamo passati al diritto di veto assoluto delle minoranze. Si può intervenire in due direzioni. Stabilire che dopo un certo numero di votazioni basti la maggioranza assoluta della platea elettorale, e contemporaneamente allargare la platea, ripristinando i 59 delegati regionali o aprendo ai sindaci o ai deputati europei.
C’è anche il problema dell’immunità per i consiglieri e sindaci senatori.
Voglio prendere per buone le dichiarazioni della presidente Finocchiaro e del ministro Orlando sull’intenzione di riformare l’immunità. Nei nostri emendamenti c’era: l’immunità deve coprire solo l’attività di parlamentare e non quella negli enti locali, e poi bisogna che la decisione del parlamento sia appellabile alla Consulta. Non hanno voluto farlo nella riforma costituzionale, mi aspetto che lo facciano subito dopo.