Quasi vent’anni fa, era il 1997, Christo e Jeanne Claude, arrivati a Firenze per presentare il film sulla titanica impresa dell’impacchettamento del Reichstag di Berlino – ventisei anni di dibattiti e intoppi burocratici, seicentoquaranta schizzi preparatori e tredici miliardi tra materiali e lavoro – erano stati categorici: l’Italia non è nei nostri progetti, avevano assicurato. «Mai dire mai» avevano però subito aggiunto, anche perché questo paese era sempre stata una loro mèta di pellegrinaggio, magari per un veloce inchino al Giotto della Cappella Scrovegni, oppure per raptus onirici come l’imballaggio delle Mura romane e Porta Pianciana (1973-74) e, prima ancora, per imbozzolare la fontana e torre medievale di Spoleto in un anno ruggente, il 1968.

Christo & Jeanne-Claude At Home

Nonostante il lutto che lo ha colpito – la scomparsa della compagna Jeanne Claude nel 2009, con cui per quarant’anni ha sognato e realizzato paesaggi impossibili, è qualcosa con cui l’artista è costretto a fare i conti in ogni momento della sua vita creativa e affettiva – Christo non ha perso la sua effervescenza di dreamer e, a dispetto dell’esclusione dell’Italia dai suoi piani, è tornato. Non per coprire chilometri e chilometri di qualche fiume (come immagina di fare, fin dal 1992, in Colorado, scontrandosi con l’ostilità delle comunità locali) ma per permettere una passeggiata sulle acque tranquille del lago d’Iseo.
Sarà lì, infatti, che si svilupperà il suo The Floating Piers, una sorta di molo galleggiante, simile a un pontile, che collegherà in circolo Sulzano con Monte Isola per poi arrivare all’isola di san Paolo. Un’installazione mutante, come tutte quelle di Christo, nel senso che il materiale scelto rispetterà i movimenti della natura – in questo caso delle onde – grazie alla sua elasticità e non rimarrà rigidamente separato dall’elemento che lo ospita, ma offrirà un surreale percorso pedonale di tre chilometri a pelo d’acqua. Settantamila metri quadri di tessuto giallo scuro cangiante (seguirà le mutazioni della luce), sostenuti da un sistema modulare di pontili formato da duecentomila cubi di polietilene ad alta densità.

Al materiale ci sta pensando una ditta italiana. Il lavoro, come sempre, è ciclopico: duecento ancore di acciaio riciclabile saranno bloccate sui fondali del lago e poi con centinaia di macchine da cucire si raccorderanno i pezzi di tessuto. Le prove già sono state fatte in studio. Un’opera collettiva? Anche perché Christo invita a collaborare tutti, «dai diciotto anni ai novanta, sotto la guida di alcuni esperti». Una specie di volontariato per fabbricare concretamente un’utopia: (questa volta galleggiante).

In calendario, l’inaugurazione prevista per questo camminamento antigravità è segnata nel giugno 2016. Si passeggerà sull’acqua per i consueti sedici giorni, poi il molo evaporerà e ricominceranno a fare su e giù i traghetti. Si potrà seguire sul sito  il work in progress dell’opera, tappa dopo tappa.
Project manager di questa ultima magnifica ossessione è l’amico di sempre, Germano Celant, il critico e studioso che cinquant’anni fa andava a New York in veste di ospite gradito dell’«hotel Christo», cosa che lo autorizzava a lunghi soggiorni nella Grande Mela quando era un po’ più squattrinato.

Di fronte alla durata effimera delle sue opere – al massimo due settimane, poi si smonta tutto e si ricicla il materiale utilizzato – contare invece gli anni che ci vogliono per mettere in scena ogni utopica visione dell’artista bulgaro (è nato a Gabrovo nel 1935, da una famiglia di industriali) procura sempre una certa impressione. Mai meno di un decennio, quando le cose vanno per il verso giusto. E i cicli di eterni ritorni sui luoghi possono abbracciare la metà di un secolo.

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Anche per il Belpaese vale questa lotteria di numeri grandiosi. «Sono passati quarant’anni da quando abbiamo lavorato in Italia io e Jeanne Claude – dice Christo presentando The Floating Piers al Maxxi di Roma – Per un progetto come Gates (settemilacinquecento cancelli coperti di teli svolazzanti dentro Central Park a New York, ndr) ci sono voluti venticinque anni. È frustrante metterci così tanto tempo… Per questo sono tornato qui, avevo la segreta speranza che Celant mi potesse aiutare con le autorità locali e i permessi delle amministrazioni!». Magrissimo e con gli occhi accesi come quelli di un bambino alle prese con il suo gioco più bello, Christo è irresistibile quando parla, sprigiona energia vitale. «Perché lo faccio? Mi piace molto collegare terra e acqua. In Argentina e in Giappone non ci sono riuscito. A Tokyo hanno addirittura tentato di dirci cosa dovessimo fare. Jeanne Claude se ne andò indignata dalla sala. I progetti vanno eseguiti come diciamo noi».

D’altronde Christo può permettersi questa libertà. Non ha sponsor e tantomeno li va a cercare: è lui a finanziare con la vendita dei suoi stessi disegni – gli schizzi dei progetti che fa prima della realizzazione, mai dopo – la mole immensasconcertante di lavoro che richiede ogni installazione della sua eccentrica Land Art.
«Ho una società che paga regolarmente le tasse e di cui sono presidente e proprietario – tiene a precisare – Compio ottant’anni fra pochi giorni, tutte le opere sono nella mia testa, non ho assistenti in studio. Non è facile, ma ce la facciamo. Io e Jeanne Claude abbiamo portato a termine i nostri progetti perché pensavamo che fossero bellissimi, è qualcosa che ci ha sempre consentito di essere in contatto con cose vere. Non scrivo al computer, non parlo al telefono, non guido. Mi interessa l’esperienza fisica: siete tutti invitati a venire a vedere, toccare, sentire. La passeggiata sul pontile nel lago d’Iseo sarà gratuita. E poi è sensuale!».

E come mai ha scelto proprio il lago d’Iseo come location visionaria? «Era il più adatto fra quelli visitati per il suo paesaggio piacevole e vario, con la montagna dietro l’isola e un territorio non soffocato da costruzioni. L’installazione si vedrà anche dall’autostrada…». Costerà dieci milioni di euro il molo galleggiante di Christo, ma lui non si scompone, ci è abituato a cifre da capogiro. I soldi se li procurerà vendendo i disegni e, intanto, per gli scettici, sfodera una classica esclamazione di Jeanne Claude: «Costerà quel che deve costare. Come per un figlio, non esiste un budget prestabilito».

Fa piacere sapere che questo romantico guerriero della bellezza non si è ancora arreso, nonostante l’età. Non sempre tutto è filato liscio, la sua ricerca spasmodica di paesaggi non banali ha portato con sé anche profonde ferite. Infelice fu un progetto come Umbrellas, gli enormi parasole piantati in California e in Giappone. In America, il vento ne sradicò uno uccidendo una donna, sulle coste del Pacifico un operaio rimase fulminato nelle fasi di smontaggio dell’opera. Incidenti che lasciarono il segno, ma l’urgenza della promessa di bellezza un giorno riprese fiato.