«Naturalmente, non possono essere lettere semplici, perché non devono uccidere subito, ma nello spazio di dodici ore circa: il punto culminante, viene calcolato per la sesta ora. Ogni lettera deve essere circondata da una quantità di arabeschi: le lettere disegnano come una fascia sottile intorno al corpo, il resto è destinato agli arabeschi».

Le torture subite da Giulio Regeni ci rimandano alla macchina che l’ufficiale descrive all’esploratore nella Colonia penale di Franz Kafka. Giulio Regeni ha visto il proprio corpo straziato dall’incisione di lettere come nella macchina della Colonia penale.

Franz Kafka scrisse il racconto nel 1914. Nel caso di Giulio Regeni siamo invece nell’Egitto contemporaneo del regime di Al Sisi.

Gli esiti dell’autopsia sul suo corpo martoriato fatta in Italia costituiscono una prova decisiva a disposizione di chi volesse farne uso al fine di accertare la verità.

Le sevizie brutali e ripetute subite da Giulio Regeni hanno un solo nome: si chiamano tortura. Se ben studiate possono anche offrire indizi agli investigatori. Sicuramente tolgono di mezzo tutte le fandonie e i depistaggi.

La tortura ha sempre un fine. Non è mai solo esercizio di cattiveria.

La tortura può essere investigativa, se finalizzata alla estorsione di confessioni o comunque diretta a costringere alla delazione, oppure punitiva, ossia se finalizzata a umiliare, a esaltare chi detiene il potere di custodire o di punire. Nel caso di Giulio Regeni siamo nel caso della tortura praticata per far parlare, per intimidire. «È una tortura ripetuta nel tempo» si legge nell’autopsia. È una tortura ’professionale’ che esclude ogni pista non ’pubblica’. La tortura è un crimine odioso. È tra i più odiosi dei crimini. È un crimine di Stato. Non a caso è inserito tra i crimini contro l’umanità che possono essere giudicati dalla Corte Penale Internazionale nata solennemente a Roma nel 1998. Le violenze fra privati non fanno parte del campo semantico della tortura.

Questa nasce dentro la relazione asimmetrica di potere tra custode (nel nome diretto o indiretto dello Stato) e custodito. La tortura è un crimine contro la dignità umana. Nel caso di Giulio Regeni lo è stato anche contro la vita. La tortura, nelle modalità e nei tempi di esecuzione, porta con sé non di rado la firma degli autori. I torturatori pensano di essere impuniti e immuni da ogni responsabilità. Pensano di agire in nome e per conto dello Stato. Dunque ’firmano’ le loro torture.

Ieri pare si siano incontrati gli investigatori egiziani con quelli italiani. Speriamo che quell’autopsia, inequivocabile, costringa la parte egiziana a rompere il muro dell’omertà, a collaborare con i giudici di Roma per approssimarsi alla verità. Sappiamo che nei giorni scorsi ci sono stati incontri ad alto livello tra istituzioni politiche italiane e egiziane. Alcuni mesi fa il governo italiano aveva ritirato il proprio ambasciatore al Cairo.

A fine agosto, in un’intervista rilasciata a Riccardo Iacona (Presa Diretta) Paola Regeni, mamma di Giulio, affermava che: «È importante che il nuovo ambasciatore Cantini non scenda al Cairo: non dobbiamo dare questa immagine distensiva». Insieme a Luigi Manconi (presidente di A Buon Diritto), Antonio Marchesi (presidente di Amnesty International), ai genitori di Giulio e al loro legale (Alessandra Ballerini) abbiamo chiesto al governo italiano di non procedere alla nomina dell’ambasciatore fino a quando non si concretizzi una cooperazione giudiziaria degna di questo nome. Dopo gli esiti dell’autopsia la nostra richiesta è ancora più forte.

*presidente Antigone-Cild