Nell’importante editoriale di avvio di questa discussione Norma Rangeri invita a riconoscere «l’urgenza di trovare forme, obiettivi, unitari» per una sinistra capace di «alternativa politica oggi e di governo domani». Dunque alternativa e governo le parole chiave.

Dichiaro subito la mia posizione: occorre costruire un nuovo partito della sinistra italiana. Un partito del lavoro e dei saperi, dei diritti sociali e civili, della giustizia, della libertà. Pacifista e internazionalista, europeista ma critico dell’Europa del neoliberismo e della Troika. Un partito del socialismo (bene ha fatto Vittorio Melandri a ricordare l’attualità del termine), nel senso proprio di critica del capitalismo e di processo di liberazione.

Naturalmente un partito non si improvvisa, dunque occorrerà lanciare in autunno una fase costituente, in cui dovranno farsi scelte, dare il senso di una prospettiva, stabilire scadenze (politiche possibilmente, prima che elettorali), elaborare un programma fondamentale. Ma dovrà iniziarsi anche la «costruzione di un nuovo gruppo dirigente», come saggiamente ricorda Alfonso Gianni (ma ne aveva già parlato giorni fa Michele Prospero, sempre sul manifesto).

Ai partitini ancora esistenti deve chiedersi qualcosa di più della semplice “generosità”. Intanto l’autocritica per gli errori di questi anni, che tanto hanno contribuito alla scomparsa della sinistra italiana, per poi mettersi discretamente a disposizione del processo costituente del nuovo partito. Al quale però, resto dell’idea si dovrà aderire a titolo personale, individuale e non per sommatoria di pezzi di ciò che resta di gruppi dirigenti.

Discutibile mi è parso invece il contributo di Pasquale Voza che da una parte richiama Dardot e Laval, che però alla «gabbia d’acciaio europea» oppongono una anarchica (e impolitica) «auto-istituzione della società», dall’altra rivendica la necessità di «inventare politicamente il popolo», petizione che ricorda però il vecchio demiurgismo e dirigismo della dottrina delle élite (senza voler scomodare Lenin). Comunque il contrario di una corretta concezione della democrazia e della dialettica alto-basso. Anche Gianandrea Piccioli rifiuta la forma-partito ma per invocare «piccoli gruppi -minoranze intellettuali, monaci, folli, bucanieri, anarchici, teatranti». Ho l’impressione che con questi schemi e questo modo di ragionare non andiamo da nessuna parte.

Limiti evidenziati anche dall’intervento di Bertinotti, fermo ad una retorica dell’”evento” di scuola francese (stavolta il citato è Badiou), che ha uno schietto taglio nichilista-spontaneista-antipolitico; una subcultura che è tanta parte della scomparsa proprio della Rifondazione di Bertinotti.

Notevole invece l’intervento di Franco Monaco, assai opportunamente ospitato dal giornale. Il fatto che, un ulivista classico, che ha condiviso tutta l’avventura di Romano Prodi, riconosca che forse è meglio reintrodurre il trattino fra centro e sinistra, che affermi altresì la necessità di ricostruire un partito (usa precisamente questo termine) «dichiaratamente di sinistra, con cultura di governo e informata ad un riformismo forte», è cosa che dovrebbe far riflettere tutti noi. Dovrebbe essere uno stimolo a fare e a fare presto e bene.

Forse è anzi il segno che un ciclo si sta chiudendo e che un altro se ne può aprire. Ci vuole però un soggetto che marchi il campo, che imponga al dibattito politico un’altra idea di politica e di democrazia (conflittuale, dell’alternativa, della netta separazione fra destra e sinistra), ma anche di Italia e di Europa.

Ha ragione Guido Liguori a dire che non dobbiamo semplicemente copiare Syriza (o Podemos). Sarebbe un modo provinciale di impostare il discorso. Piuttosto si tratta di trovare una vita italiana alla rinascita della sinistra.
Per tutto questo è però importante partire subito, stabilire un’agenda, assumersi responsabilità, evitare iniziative sfilacciate (per esempio presentare i referendum o le posizioni “no euro”, senza dibattito e senza condivisione). Se qualcuno parlasse, facesse proposte, si consultasse prima di muoversi per suo conto, saremmo già sulla buona strada per la formazione di una nuova comunità politica.

In conclusione il futuro della sinistra italiana dipenderà dai programmi che si darà e dal ruolo che saprà disimpegnare. Ciò che si è dipende da ciò che ci si mostra in grado di fare. La funzione crea l’organo. A ben vedere: niente ideologia, né politicismo.