Da tempo il governo cinese ha messo nel mirino l’informazione, con particolare attenzione ai social network e l’uso che ne viene fatto per diffondere notizie. Non a caso, dopo aver attaccato il più noto e popolare tra i social network, Weibo di Sina, una sorta di Twitter cinese, ora le attenzioni si sono spostate su Wechat, un’applicazione per smartphone, dove le conversazioni possono avvenire in forma privata.

Come tali sono più difficili da controllare e censurare e pertanto costituiscono ormai una specie di naturale approdo per quegli attivisti che vogliano far circolare le informazioni, senza cadere nella scure della censura. Ma l’attenzione, da tempo, è posta anche sul lavoro dei giornalisti. In Cina ogni quotidiano o magazine ha al proprio interno un apposito ufficio della propaganda, destinato a controllare e verificare che tutto proceda nel modo migliore. Non sempre però i solerti funzionari sono in grado di controllare tutto quanto accade e per questo si è provvisto con un nuovo regolamento, che vieterebbe ai giornalisti di pubblicare, anche via social network, informazioni che ancora non siano state vagliate dalla «squadra della censura» all’interno del proprio luogo di lavoro. In pratica, se si ha uno scoop, non lo si può pubblicare.

Il regolamento per i «publisher» fa ovviamente riferimento a «segreti di Stato» e informazioni di una certa rilevanza nazionale, ma l’intento preciso del governo cinese è quello naturalmente di controllare il più possibile fughe di notizie che possono ledere l’immagine del Partito, specie in questo momento, con una campagna anticorruzione che miete vittime ogni giorno e che rischia di finire per dimostrare la totale impunità dei funzionari comunisti.