Attenzione alle precedenti sentenze della Consulta, cautela per eventuali nuovi ricorsi di costituzionalità che potrebbero arrivare. Tutta la prudenza che il governo non ha mostrato con la riforma costituzionale e la nuova legge elettorale viene fuori adesso che la legge sulle unioni civili si avvicina al passaggio decisivo, prossima settimana nell’aula del senato.

Il «contesto» lo presenta la Repubblica, aprendo il giornale con i «dubbi» del presidente della Repubblica Sergio Mattarella sul disegno di legge Cirinnà. Dubbi che però non ricevono conferma dal Quirinale. Per Renzi sarebbero dubbi benvenuti, dal momento che la legge per la quale pure si è pubblicamente speso sta incontrando difficoltà (da lui) impreviste. L’oggetto in questo caso non sarebbe la scandagliata questione della stepchild adoption, ma gli articoli 2 e 3 del disegno di legge che parevano immuni da critiche. Sono quelli che definiscono l’unione civile come «specifica formazione sociale» secondo la formula di mediazione messa a punto in commissione in modo da evitare ogni accostamento al matrimonio. Non basta, perché nel testo Cirinnà sarebbero ancora troppi i punti di contatto tra il nuovo istituto e quello matrimoniale previsto dalla Costituzione e dal codice civile. «Non c’è alcuna equiparazione e non c’è nulla da cambiare nel disegno di legge», diceva ieri la senatrice Cirinnà, ma non è più questa la linea della maggioranza Pd. Il nodo della stepchild adoption è accantonato, ma non può dirsi sciolto.

Le – non confermate – perplessità del Quirinale farebbero riferimento a una sentenza del 2010 della Corte costituzionale, nella quale i giudici delle leggi avevano scritto che il matrimonio secondo l’articolo

29 («famiglia come società naturale fondata sul matrimonio») deve intendersi tra due coniugi di sesso diverso. Sentenza che successivamente è stata in parte superata dalla Corte, e decisamente superata da diversi pronunciamenti della Cassazione. L’aspetto insolito della ricostruzione di Repubblica – non confermata – sta nel fatto che il presidente Mattarella, che non si è espresso su leggi prossime all’approvazione, si sarebbe invece informalmente pronunciato su un testo che è appena all’inizio del suo cammino parlamentare. Il disegno di legge Cirinnà non è ancora approvato in aula al senato (ci arriverà il 28 gennaio) per la prima lettura, poi passerà alla camera e dovrà tornare al senato in caso di modifiche.

Modifiche che la maggioranza del Pd non si augura, per questo in settimana tornerà a riunirsi la «bicameralina» dove siedono assieme senatori e deputati del partito che seguono il disegno di legge. Prima, oggi e domani, si riuniranno i gruppi di senato e camera. L’orientamento del governo è quello di prevedere correzioni agli articoli 2 e 3, per esempio eliminando il comma che rende possibile l’utilizzo di un cognome comune successivamente all’unione civile. Modifiche sono da attendersi anche sulla cosiddetta «adozione del patrigno», anche se non pienamente nel senso richiesto dagli oltre trenta parlamentari cattolici del Pd che hanno proposto come alternativa l’«affido rafforzato». La via d’uscita in questo caso potrebbe essere quella di prevedere una sorta di periodo di prova, due anni di convivenza prima di poter chiedere l’adozione del figlio del partner. Adozione che in ogni caso dovrebbe essere decisa da un giudice.

In questo modo il governo conta di riuscire a passare indenne attraverso i voti segreti del senato. Sulla carta i voti dei 5 Stelle e della sinistra – oltre a qualche sparuto sì tra i forzisti – più che compenserebbero i dissensi interni alla maggioranza tra centristi e cattolici. Ma Renzi non si fida di eventuali franchi tiratori che potrebbero approfittare per creare l’incidente. Il premier segue da vicino il dossier, ma per evitare di coinvolgere formalmente il governo darà indicazione al gruppo: gli emendamenti al disegno di legge Cirinnà non porteranno la firma dell’esecutivo.