C’era un convitato di pietra, ieri all’apertura della Cop22 a Marrakech in Marocco, un anno dopo l’accordo di Parigi della Cop21 per limitare il riscaldamento climatico, entrato in vigore il 4 novembre, dopo che è stata raggiunta (e superata) la quota minima di ratifiche: alla vigilia del voto negli Usa, l’eventualità di una vittoria di Donald Trump farebbe naufragare tutto il lavoro fatto, perché il miliardario ha annunciato l’annullamento degli accordi di Parigi. Ma ieri l’apertura è stata dedicata alle celebrazioni. In prima fila, la ministra francese Ségolène Royal, che cede la presidenza della Cop e si compiace: “possiamo essere fieri del lavoro compiuto”. Qualche decisione pratica ha già avuto luogo: il 6 ottobre, il settore dell’aviazione civile si è impegnato a compensare le emissioni di Co2, il 14 ottobre gli stati firmatari hanno preso l’impegno di mettere fine alle emissioni degli F-gas (idrofluorocarburi, prodotti dai sistemi di refrigerazione), conferenza internazionale “Our Ocean” a settembre. Come ha affermato Laurent Fabius, ex ministro degli Esteri che un anno fa ha aperto la Cop21, “la nostra casa brucia ancora, ma non guadiamo più altrove”, cioè almeno è stato raggiunto, sulla carta, lo stadio della consapevolezza dei rischi.

La Cop22 ha un ruolo di “trait d’union tra decisione e azione”, ha affermato il ministro degli Esteri marocchino, Salaheddine Mezouar. Difatti, dopo l’entrata in vigore formale, con un centinaio di paesi che hanno ratificato l’accordo di Parigi bruciando i tempi (rappresentanti più del 69% delle emissioni di gas a effetto serra), adesso la tappa da superare è l’applicazione degli accordi: mettersi d’accordo sul calendario, la ripartizione degli sforzi tra paesi e zone geografiche, i finanziamenti. Tutti problemi che rappresentano ostacoli difficili da superare, mentre l’Onu continua a lanciare l’allarme: secondo Erik Solheim, del Pnue, malgrado l’accordo della Cop21, la terra si avvia a un aumento delle temperature, per il 2100, tra +2,9 e 3,4°, cioè molto al di là dell’impegno di restare sotto +2°. Questo significa che i contributi nazionali finora promessi all’Onu non sono sufficienti e che sono necessarie ulteriori azioni. Prima di tutto, sull’accelerazione dei tempi: l’applicazione pratica dell’accordo sul clima è prevista solo per il 2020, ma regole comuni potrebbero venire anticipate al 2018. E’ tutta una mentalità che deve cambiare, c’è necessità di coinvolgere non solo gli stati a livello governativo ma anche protagonisti di terreno, dalle città alle imprese e ai singoli cittadini. Sono già nate delle “coalizioni di azione”, sul solare, sulle rinnovabili, sui trasporti ecc. A Marrakech dovrebbe venire varato un programma per seguire da vicino i passi avanti realizzati a livello mondiale da queste “coalizioni” settoriali (ma bisogna misurarne la difficoltà, come dimostra per esempio la fissazione di un prezzo dissuasivo delle emissioni di Co2, sotto forma di tassa o di quote, come già era stato proposto dal Protocollo di Kyoto, prefigurando un mercato mondiale). Le tensioni interne alla Ue illustrano le difficoltà: c’è voluta una forzatura di Consiglio e Commissione, con voto all’Europarlamento, per far ratificare l’accordo di Parigi a Bruxelles, senza aspettare la ratifica dei singoli stati e l’intesa sulla ripartizione degli sforzi tra paesi, ma nella Ue continuano ad essere attive almeno 280 centrali a carbone molto inquinanti e si registra un severo ritardo sulle energie rinnovabili.

C’è poi la grande questione dei finanziamenti. L’obiettivo posto dall’Ocse sui 100 miliardi di dollari l’anno necessari, di qui al 2020, di trasferimenti dal Nord al Sud vulnerabile, sembra ben avviato: il contributo pubblico dovrebbe raggiungere i 67 miliardi nel 2020, secondo i calcoli dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (che raggruppa i paesi più ricchi del mondo), ma ormai la posta in gioco è ben maggiore, riguarda cioè il necessario ri-orientamento della finanza internazionale, che integri i costi ambientali nelle decisioni di investimento. Sarebbe necessario un mega piano Marshall a livello mondiale. L’Africa cerca a Marrakech di avviare una coalizione per il finanziamento dell’adattamento al cambiamento climatico, con un mini-summit ai margini della Cop22, che riunirà il 16 novembre una trentina di paesi.