Il passo più importante verso una soluzione politica del conflitto armato. All’Avana, i rappresentanti del governo colombiano di Manuel Santos e quelli della guerriglia marxista delle Forze armate rivoluzionarie (Farc) hanno firmato uno storico accordo: l’ultimo punto su giustizia e riparazione delle vittime, considerato quello su spinoso. A settembre, le parti avevano concluso i negoziato sul tema della giustizia di transizione, e una simbolica foto tra Santos, il leader delle Farc Timoshenko e il presidente cubano Raul Castro era stata scattata all’Avana.

Si tratta del quarto asse dei negoziati, iniziati nel 2012 con il patrocinio della Norvegia e del Venezuela. In precedenza, si è andati avanti in materia di terra e sviluppo rurale, partecipazione politica della guerriglia, droghe illecite e lotta al narcotraffico. Per realizzare quest’ultimo punto, si è recata a Cuba una delegazione composta da 10 vittime del conflitto armato, che dura da oltre cinquant’anni. Nel gruppo, vi sono componenti della missione per la Verità, la riparazione e per le garanzie che non si ripeta la violenza, e quelli che hanno lavorato al quadro della giustizia di transizione relativo agli accordi.

Al termine delle ostilità, nel quadro del Diritto internazionale umanitario, lo Stato colombiano applicherà un’amnistia per i reati politici, escludendo però i delitti di lesa umanità, lo stupro, il genocidio, la tortura e l’espulsione e la sparizione forzata, le esecuzioni extragiudiziarie. Per questo, è prevista l’istituzione di tribunali speciali che hanno facoltà di applicare l’amnistia, le pene alternative alla detenzione e sentenze di un massimo di otto anni per le responsabilità penali nel conflitto. Dopo la firma degli accordi, che il governo prevede di concludere a marzo del 2016, le Farc hanno tempo due mesi per deporre le armi.

I negoziati prevedono il rientro in sicurezza dei militanti nella vita politica. I massacri seguiti a precedenti accordi e tentativi di soluzione politica, rendono prudenti la guerriglia e le organizzazioni popolari che appoggiano i negoziati. Anche perché, a dispetto di tutti gli accordi, il paramilitarismo ha sempre costituito una componente pesante e nefasta nella politica colombiana. Il principale sostenitore della via paramilitare alla politica, l’ex presidente Alvaro Uribe, ora senatore, resta d’altronde attivo. E, anche in questo caso, ha espresso la propria contrarietà. Al suo fianco, l’organizzazione Human Right Watch, che – soprattutto in America latina – esprime una concezione di parte dei “diritti umani”.

Guerriglie e governo, invece, si dicono convinte che un accordo di pace sia prossimo. Il coordinatore delle Nazioni unite in Colombia, Fabrizio Hochschild, ha definito l’accordo “il più importante passo avanti” verso la soluzione politica.

Nelle intenzioni di Santos, gli accordi devono essere ratificati dal voto popolare. Il Congresso ha già approvato il progetto di referendum, adesso tocca alla Corte costituzionale. Il testo dà al presidente la facoltà di convocar e gli elettori, dopo aver ricevutol’appoggio di tutti i suoi ministri. Per l’approvazione, occorre il 13% degli aventi diritto, ovvero il voto di oltre 4,5 milioni di colombiani.

Intanto, dopo un lungo sciopero della fame dei detenuti politici e comuni, Santos ha concesso l’indulto a una trentina di loro. Ma resta sul tavolo la sorte dei guerriglieri che sono in carcere negli Usa.

E, intanto, continua la repressione contro le organizzazioni popolari: omicidi di contadini, attivisti, giornalisti. Per la sinistra d’alternativa e per le guerriglie (anche quella guevarista dell’Eln sta appoggiando l’accordo) l’orizzonte resta quello di un’Assemblea costituente: perché i problemi strutturali di una democrazia malata come quella colombiana vanno affrontati alla radice, per risolvere le cause che hanno prodotto il conflitto armato.

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