Giornata storica, oggi, in Colombia. A Cartagena de Indias verrà firmato l’accordo di pace conclusivo tra il governo colombiano e la guerriglia marxista delle Farc. Il 2 ottobre toccherà ai cittadini decidere con referendum se approvare o respingere l’intesa. Secondo le ultime inchieste, il sì vincerebbe con il 72%. Il presidente cubano Raul Castro, arrivato domenica in Colombia guida la delegazione del suo paese. L’Avana ha ospitato i tavoli di pace decisi a Oslo, in Norvegia, a ottobre del 2012 e conclusi sull’isola il 23 agosto.

Un percorso avviato grazie alla diplomazia di pace dell’allora presidente del Venezuela Hugo Chavez, proseguita poi da Nicolas Maduro. In Venezuela, paese facilitatore insieme al Cile, il 30 marzo hanno preso avvio anche i negoziati con l’altra guerriglia storica, quella guevarista dell’Eln. Fin’ora, le trattative sono ferme, ma l’Eln ha comunque annunciato una tregua per consentire lo svolgimento del referendum.

Alla cerimonia sono attesi, tra gli altri, il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon, il segretario di Stato nordamericano John Kerry, l’Alta rappresentante per la politica estera dell’Ue Federica Mogherini, il presidente della Banca mondiale Jim Yong Kim, la direttrice del Fmi Christine Lagarde, e i tredici capi di Stato della regione (Messico, Guatemala, Honduras, El Salvador, Costa Rica, Panama, Cuba, Venezuela, Repubblica Dominicana, Ecuador, Perù, Cile e Paraguay). Si calcola che – tra rappresentanti internazionali, vittime del conflitto, mezzi di comunicazione, personalità, membri del governo e partiti politici – arriveranno circa 2.500 persone. La Ue ha annunciato che le Farc non saranno più incluse nella lista delle organizzazioni “terroriste”.

I guerriglieri hanno concluso la loro X Conferenza con un accordo unanime sull’agenda firmata all’Avana e sulle tappe previste per portare a buon fine l’accordo. Per l’occasione, nella prospettiva di un passaggio politico, hanno votato l’ampliamento della struttura direttiva, portandola da 31 a 61. Hanno invitato al confronto tutte le organizzazioni e i partiti della sinistra, ribadito la necessità di un’assemblea costituente che coinvolga i colombiani in un nuovo patto sociale, e annunciato per maggio 2017 il loro primo congresso da partito legale.

Domenica, con un atto simbolico chiamato Festa per la pace, governo e Farc hanno consegnato il documento d’accordo alle vittime del Montes de Maria, uno dei principali luoghi di concentrazione della guerriglia negli ultimi decenni. Una zona di forte resistenza, iniziata negli anni ’60 con la richiesta di una riforma agraria, sempre negata dallo stato con violenza. Il numero delle vittime del Montes de Maria in oltre cinquant’anni di conflitto armato, è incalcolabile. Dopo la festa, a cui hanno partecipato artisti, intellettuali e anche rappresentati dell’Alto commissariato delle Nazioni unite per i diritti umani, i dirigenti delle Farc sono stati accompagnati in un luogo segreto dalla squadra di sicurezza che è stata loro assegnata.

Sugli accordi pesa infatti il ricordo del massacro della Union Patriotica, compiuto negli anni ’80 dallo stato e dai paramilitari. Allora, le Farc avevano partecipato alla vita politica in una coalizione molto seguita a livello parlamentare, ma vennero eliminate e la parola tornò alle armi. Ora, l’agenda del post-accordo prevede la presenza dell’Onu, della Unasur e della Celac nelle zone si smobilitazione della guerriglia nelle quali si definiranno i termini concreti del passaggio alla vita politica e l’avanzamento degli impegni presi.

Punti importanti della soluzione politica riguardano le principali cause scatenanti del conflitto tra cui la riforma agraria e la partecipazione in sicurezza alla vita politica per l’opposizione. In una democrazia malata come quella colombiana, gli spazi di agibilità politica si sono infatti chiusi con l’assassinio del leader liberale Eliecer Gaitan, il 9 aprile del 1948. Santos ha di recente riconosciuto per la prima volta le responsabilità dello stato nel massacro della Union Patriotica. “Con questo accordo – ha dichiarato ora – non vi saranno altre vittime, né giovani in guerra. Gli sfollati potranno tornare alle loro terre, e la Colombia potrà sviluppare tutto il suo enorme potenziale come nazione”.

Ma, intanto, i leader sociali continuano a morire. Secondo le organizzazioni umanitarie, ogni cinque giorni viene ucciso un difensore per i diritti umani in Colombia. Nei primi sei mesi del 2016, si sono registrate 314 aggressioni, 35 delle quali mortali: un incremento del 3% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso.