La scelta di Benyamin Netanyahu di incontrare ieri gli alunni della prima e della seconda elementare delle scuole Amit Torani di Sderot e Mevoim, nel sud di Israele, non è stata quella classica di un primo ministro che parla a un gruppo di studenti al primo giorno del nuovo anno scolastico. E non è stata quella di un premier israeliano che vuole esprimere vicinanza alle comunità che, più di altre, hanno subito i lanci dei razzi da Gaza. E’ stata la scelta di un leader che ha voluto ribadire e far capire a studenti e insegnanti che Israele resta in guerra. Che potrebbe riesplodere tutto. Certo, Netanyahu agli scolari ha anche chiesto di studiare e ha fatto ricorso a frasi suggestive del tipo «Siamo il popolo del Libro, ora anche il popolo del tablet». Più di tutto ha chiesto di apprendere nel nome del Popolo di Israele, dello Stato di Israele, di Eretz Israel (la biblica Terra di Israele).

E’ una decisione di guerra senza dubbio anche quella presa l’altro giorno dalle autorità militari israeliane di dichiarare “aree demaniali” – sono terre palestinesi occupate secondo la legge internazionale – 400 ettari tra Betlemme e Hebron e di espandere una colonia con un nome rassicurante Gva’ot (colline) che divorerà un porzione strategica di Cisgiordania. E’ una ritorsione, spiegano gli stessi media israeliani, per l’uccisione lo scorso giugno dei tre ragazzi ebrei da parte di una cellula palestinese armata, risultata poi affiliata a Hamas. Si tratta della confisca più ampia, in una sola volta, negli ultimi 30 anni. Netanyahu più che perpetuare, come afferma, la memoria di tre ragazzi uccisi in quella zona, vuole ribadire la sua linea ultranazionalista. Lo spiega bene la leader del partito Meretz, Zehava Gal On: «La decisione di ampliare il territorio del (del blocco di insediamenti ebraici) di Gush Etzion e consegnarlo ai coloni – ha detto la parlamentare – rivela ancora una volta un fatto noto, che il governo di Israele lavora nell’interesse di coloni e che l’obiettivo di questa espansione è quello di creare una linea continua di territorio tra la linea verde e Betar Illit e Kfar Etzion».

Gioiscono i coloni. Il Consiglio di Gush Etzion ha salutato il passo fatto dai militari come la nascita di una “nuova città” (nei territori occupati). Il loro leader di fatto, il ministro dell’economia Naftali Bennett (Casa Ebraica), ha elogiato la confisca dei 400 ettari di terre palestinese visitando la scuola rabbinica Makor Hayim che frequentavano Naftali Fraenkel e Gil-Ad Shaer, due dei tre ragazzi ebrei rapiti e uccisi a giugno in Cisgiordania. «Quello che abbiamo fatto ieri è stata una dimostrazione pratica degli ideali del sionismo. Costruire è la nostra risposta a un omicidio… Voi studenti di Makor Hayim eravate studenti normali fino a un paio di mesi fa. Oggi siete la punta di diamante. Voi tutti ora avete un peso extra sulle vostre spalle, siete makor hayim (fonte di vita) di Israele». Costruire «è la giusta risposta a un omicidio», ha poi aggiunto durante un tour della zona in cui si svilupperà il progetto di Gva’ot. Bennett ieri era raggiante. I dissapori con Netanyahu sulla conduzione della guerra contro Gaza e Hamas – il leader di Casa Ebraica voleva un’offensiva ancora più devastante – sono stati subito superati in nome dell’obiettivo supremo: colonizzare e impedire la nascita di uno Stato palestinese sovrano e con un territorio omogeneo, anche se minuscolo. E i commenti della futura lady Pesc Federica Mogherini, secondo la quale «non solo sono illegali sulla base del diritto internazionale ma rappresentano un ostacolo alla pace e alla prospettiva dei due Stati», non sono destinati ad impressione Bennett e gli altri ministri dell’ultradestra israeliana. Gli Usa parlano di decisione “controproduttiva”.

Piuttosto allegro ieri è apparso anche Netanyahu. Certo il suo piano di risarcimento per i centri abitati israel finiti sotto il tiro dei razzi sta deludendo città come Ashdod, Ashqelon e Beersheva, situate a oltre 7 km da Gaza e, per ora, escluse dal piano di aiuti di oltre 400 milioni di dollari che sarà attuato nei 2-3 prossimi anni. Però i sondaggi dicono che il suo partito, il Likud, va a gonfie vele dopo l’attacco a Gaza e il premier ha annunciato che fra tre anni di ripresenterà alle elezioni per un nuovo mandato, per la quarta volta.

A Gaza invece saranno necessari almeno cinque-sei miliardi di dollari per la ricostruzione dopo le devastazioni subite dalla Striscia a causa dei bombardamenti israeliani. E al momento non si sa quando si terrà la conferenza dei Paesi donatori al Cairo, annunciata il mese scorso da Egitto e Norvegia. “Cluster Shelter” (Onu-Croce Rossa), un’organizzazione internazionale che si occupa della valutazione dei danni provocati dalle guerre, ha comunicato che ci vorranno 20 anni se non sarà rimosso il blocco israeliano ed egiziano che ora limita l’ingresso a Gaza dei materiali da costruzione. 17.000 unità abitative di Gaza sono state distrutte o gravemente danneggiate e 5.000 case hanno ancora bisogno di lavoro dopo i danni subiti durante le precedenti campagne militari israeliane. Gaza, peraltro, ha un deficit abitativo di 75.000 unità. I problemi immediati sono enormi. Il 14 settembre avrà inizio l’anno scolastico per 500 mila studenti della Striscia e nessuno sa se tutte le scuole, quelle dell’Unrwa (Onu) e quelle governative, saranno disponibili o se una parte di esse continuerà ad ospitare gli sfollati che hanno perduto la casa sotto i bombardamenti israeliani a Beit Hanun, Shujayea, Khuzaa, Tuffah, Khan Yunis, Rafah. A ciò si aggiungono i danni diretti riportati dalle scuole nei 50 giorni di attacchi aerei e cannoneggiamenti contro i centri abitati palestinesi. Almeno 231 edifici scolastici sono rimasti danneggiati, alcuni in modo molto grave, e se non arriveranno i materiali per la ricostruzione difficilmente potranno tornare disponibili.

Per i ragazzi di Gaza le difficoltà del nuovo anno scolastico non sono legate solo alle scuole inagibili o occupate dagli sfollati. Molti bambini palestinesi accusano il disturbo post-traumatico da stress, conseguenza delle migliaia di bombe cadute sulla Striscia. Le Nazioni Unite calcolano che quasi la metà di coloro a Gaza che accusano questo disturbo ha meno di 9 anni, il 91% dei ragazzi dorme con difficoltà e l’82% fatica a concentrarsi. Traumi che rischiano di riacutizzarsi quando bambini e ragazzi faranno ritorno a scuola. «Molti di questi studenti scopriranno il 14 settembre che alcuni dei loro amici e dei loro compagni di classe non torneranno mai più a scuola perchè sono stati uccisi. E questo sarà un trauma molto forte, difficile da superare», ci spiega il dottor Jamil Abdel Hadi della ong “Corpo e Mente”.

Tra le macerie di Gaza circola solo una buona notizia di questi tempi. Riceveranno per la prima volta lo stipendio da Ramallah i 43 mila dipendenti del governo di Hamas che ha cessato di esistere dopo la formazione dell’esecutivo di consenso nazionale all’inizio di giugno. Decine di migliaia di persone rimaste senza alcun reddito che, Hamas e Fatah, non avevano considerato quando, alla fine di aprile, i due movimenti politici si erano riconciliati e avevano deciso di dare vita ad un nuovo governo.