Quando la sinistra ragiona sui movimenti li giudica intermittenti e poco incisivi politicamente, anche perché «non si preoccupano di costruire alternative, non si impegnano a ricercare come cambiare le cose», A.Bilus, Le Monde Diplomatique). Oppure teorizza una «moltitudine» e tipi ideali uniti da concetti astratti (Negri-Hardt). I movimenti appaiono e scompaiono se li si identifica con i cortei e le manifestazioni di piazza, proteste urbane classiche, ma No-global, la Pantera, l’Onda, i Girotondi, il Popolo viola, Se non ora quando, Indignados, Occupy Wall Street, le Primavere arabe sono momenti importanti di una continuità: l’antagonismo nato ovunque nel mondo negli ultimi cinquant’anni, una marea montante che non si è mai fermata. Non è una struttura organizzata e non tutti gli attivisti hanno la consapevolezza di farne parte ma è una realtà che cresce ovunque: nelle città, nei villaggi, nelle campagne e anche nelle foreste. Producono idee e alternative che sfuggono forse perché indossano abiti inusuali e prefigurano un cambiamento diverso dalle aspettative.
Una domanda per la sinistra: cosa intende per cambiamento e come pensa di ottenerlo oggi, quando sono fuori tempo gli «assalti» al Palazzo d’inverno – i centri di potere sono tanti e governano il mondo intero – e la rappresentanza politica, che ha perso ruolo e visione, è incapace di autoriformarsi.
Torniamo ai movimenti. La loro ampiezza, inedita nella storia, impone una discontinuità negli sguardi e prudenza nei giudizi sulla sua immediata efficacia politica.
Sono in movimento milioni di persone: gruppi organizzati, associazioni, comunità, centri di ricerca, comitati di lotta, reti locali e internazionali, e tanta «gente comune» che ha iniziato a modificare il proprio modo di vivere e si impegna come può. Donne, giovani, contadini, operai, indigeni, intellettuali, artisti, scienziati, amministratori, imprenditori, religiosi… Li accomuna la resistenza alle politiche economiche, sociali e ambientali dei governi sempre più negative per la maggioranza dell’umanità e per il pianeta e la volontà di vivere altrimenti.
Dicono no, affrontano i conflitti che ne conseguono e sperimentano la trasformazione che vorrebbero in tutti gli ambiti della vita. Quindi difesa dei commons, dei beni comuni naturali planetari, della terra e dei semi, condivisione libera della conoscenza, cura dei territori e dei paesaggi, ricerca scientifica non riduzionista e tecnologie non inquinanti, spiritualità, equità, giustizia e libertà, la fine delle guerre, ridare un senso alla nascita e alla morte, capire la malattia e la salute, praticare una vita semplice e ricca di relazioni, affetti e bellezza, e tanto altro ancora. Reazioni vitali e desiderio di rifondare la convivenza umana secondo linee non ideologiche suggerite dalle idee e dalle pratiche elaborate all’interno del movimento mondiale.
Questa miriade di situazioni non possono darsi un’organizzazione tradizionale, strutturata. Funzionano piuttosto come parti di un organismo denso di energia evolutiva entro un sistema-mondo che ha esaurito la sua carica innovativa e «tende ad implodere» (Z. Bauman). E’ iniziata una dinamica senza precedenti dagli esiti imprevedibili.