Le deputate renziane che fanno un salto alla manifestazione dei sindacati, poi tornano a votare il disegno di legge sulla scuola come prima e più di prima traducono in azione il pensiero del premier. «Discutiamo con tutti, ma poi andiamo avanti. Non possiamo perdere tempo», dice Matteo Renzi. E chiude per sempre con l’ipotesi di stralciare le assunzioni dei precari dalla contestatissima riforma: «E’ impossibile. Se accettiamo l’idea di assumere è perché vogliamo portare avanti un modello diverso». E allora il modello diverso va avanti, per tutta la giornata nel semivuoto di Montecitorio, indifferente a tutte le proteste. Giornata piena, con due sole sospensioni, la prima per il pranzo e la seconda per consentire ai deputati di partecipare al presidio dei sindacati. Per il resto un voto dietro l’altro per chiudere con gli articoli entro martedì e con la legge nel voto finale mercoledì prossimo, 20 maggio.

Nessun problema per la maggioranza, grazie soprattutto alle assenze di gran parte dell’opposizione. I banchi della camera sono rimasti sostanzialmente occupati per metà, la metà del Pd e dei suoi alleati che a testa bassa sono andati avanti dal mattino alla sera a bocciare emendamenti. Senza mai avvicinare la soglia teorica dei 400 voti sui quali dovrebbe poter contare il governo Renzi, restando anzi regolarmente sotto la maggioranza assoluta, eppure non pagando mai pegno visto che le opposizioni raramente hanno superato i cento voti. Mai, tranne una volta, alle sette di sera, quando è stato bocciato con 163 voti contrari e 103 favorevoli un emendamento proposto dalla commissione di merito (la settima, Cultura, quella che a Montecitorio è in teoria presieduta dal forzista Giancarlo Galan che però non può esserci perché è agli arresti domiciliari). A cose fatte si è assunto la responsabilità del danno il vice presidente della camera Roberto Giachetti (Pd) che in quel momento guidava l’assemblea e che ha chiuso la votazione più velocemente di quanto si aspettasse il gruppo del Pd. L’emendamento respinto non è di quelli proprio superflui, perché formalmente proposto dalla commissione cultura, in realtà recepiva le osservazioni della commissione bilancio, che quando propone correzioni a una legge lo fa in nome della copertura finanziaria.

«Si è trattato di un banale errore materiale dovuto alla concitazione del momento, non c’è alcun problema per il resto della legge, non è successo nulla di drammatico», è interventi il capogruppo in pectore del Pd, il renziano Ettore Rosato. Ma mentre Giachetti ripeteva le sue scuse, al banco del governo la ministra Giannini e il sottosegretario Faraone dovevano smettere per qualche minuto di celebrare via twitter la marcia trionfale della legge per riunirsi con la relatrice Coscia e valutare le conseguenze del voto imprevisto.

E’ stato allora che la maggioranza ha valutato più conveniente non sfidare la pazienza dei suoi deputati, un po’ stanchi di assistere alla processione delle partenze dei colleghi di opposizione – che nel voto finale sull’articolo 7 si erano ridotti a una cinquantina in tutto -, alla fine il venerdì sera vale tutti. Sette articoli possono bastare per il primo giorno di votazioni. Per concludere la legge ne mancano altri venti ma il ritmo è più che buono, grazie non solo ai vuoti nei banchi di destra ma anche ai soliti tempi contingentati. La seduta notturna presenta i suoi rischi e seppure in un primo momento il governo voleva far votare anche l’articolo 8 che è il primo di quelli davvero delicati (al 9 si parla di dirigenti scolastici, al 10 di assunzioni) alle nove di sera anche la fretta renziana deve arrestarsi, se non altro di fronte alla stanchezza del pacchetto di mischia del Pd che tra relatrice e capogruppo in commissione comincia a perdersi gli emendamenti. Dunque si riprende lunedì mattina, altra seduta dove sarebbe sbagliato aspettarsi le folle.

Si aspetta invece cosa farà la minoranza Pd, si attende meglio ancora il passaggio della legge al senato. «Non si può fare un pasticcio, perché un pasticcio sulla riforma della scuola ha degli effetti di lunga durata», ha detto Enrico Letta.