È ancora possibile governare le città e i territori del nostro Paese? È questo l’interrogativo drammatico sollevato, qualche tempo fa, da Tonino Perna sulle colonne di questo giornale. È possibile ancora amministrare Enti Locali con montagne di debiti, scarsità di risorse e una crisi che ha falcidiato migliaia di posti di lavoro in pochi anni? È possibile rispondere alle esigenze, ad esempio, di quelle periferie urbane perennemente in subbuglio e con sempre meno speranze? Siamo di fronte a «città ingovernabili» o all’impraticabilità di campo della politica? È la resa incondizionata?

Svolgere oggi il compito di amministratore non è semplice. Ormai da anni non si fa che intervenire con tagli agli Enti Locali, alle risorse correnti. I debiti insostenibili ereditati dal passato – come nel caso di Roma Capitale, dopo una gestione fallimentare fatta di sprechi e Parentopoli di Alemanno, che pure aveva goduto, nel 2008, dell’azzeramento dei debiti da parte del Governo – ha reso difficilissimo dare risposte alle esigenze crescenti della cittadinanza.

Con le riforme proposte dal Governo Renzi, inoltre, non solo gli Enti Locali, ma la popolazione stessa diventa sempre più soggetto passivo. Su temi quali lo sviluppo locale, il lavoro, la formazione, i governi locali sono diventati ormai meri soggetti attuatori di decisioni prese dall’alto, con poco e a volte nessun margine di manovra. Riforme come il Jobs Act, ad esempio, cancellano una lunga stagione di conquiste sul tema dei diritti del lavoro, con riflessi negativi sui territori. Tutto ciò senza che le amministrazioni territoriali siano dotate degli strumenti per contrastare tali riflessi negativi, mentre restano bersagli quotidiani della rabbia dei cittadini esasperati.

In un tale contesto, la domanda che bisogna porsi, a mio modo di vedere, è innanzitutto questa: si può lavorare per il cambiamento senza un progetto politico che ponga alle proprie fondamenta la coesione sociale e metta insieme, in modo orizzontale, quelle soggettività disperse – come le chiama Enzo Scandurra nel suo recente intervento su Il Manifesto – che vanno dai precari ai disoccupati, dalle associazioni ai comitati che si battono per il bene comune e i diritti? Si tratta di un tema che merita un’approfondita riflessione a livello nazionale, dove Sel è all’opposizione, ma anche a livello locale, dove Sel è al governo di molte città con il Pd. Sui territori sono tante e importanti le esperienze di governo di centrosinistra. In quei territori ogni giorno si prova a fronteggiare la crisi, a cercare risposte, anche innovative, che non lascino spazio allo sconforto, alla perdita di ogni speranza.

Serve un nuovo modello democratico. È necessario rimettere la partecipazione al centro delle politiche nazionali e territoriali, anche per attuare progetti che non siamo calati dall’alto, ma che siano frutto di un percorso maturo e condiviso. Solo con l’allargamento della partecipazione, infatti, la sinistra può ritrovare linfa vitale ed essere utile alle persone. Perché è quello il suo compito storico. È necessario porre al centro di ogni progetto politiche capaci democraticamente di governare le «città ingovernabili». È necessario un processo di ristrutturazione complessiva dei debiti degli Enti Locali, in un’ottica di rilancio degli stessi, per abbandonare definitivamente la prospettiva punitiva che ha caratterizzato i tagli lineari introdotti da Monti e portati avanti dai governi successivi. È necessario ripensare la fiscalità territoriale, che va sempre più legata alle esigenze del territorio e a criteri di progressività e sussidiarietà. Ed è necessario rimettere completamente in discussione il Patto di Stabilità. Non basta allentarlo, perché bisogna dividere la lotta agli sprechi dai tagli al sociale, alla cultura, alla vita delle persone. Serve subito un segnale in questo senso, altrimenti andremo effettivamente verso l’impraticabilità di campo delle amministrazioni locali.

Roma, tuttavia, in questa prima parte di consiliatura, sta provando a invertire la rotta. La città ha intrapreso un percorso autonomo e innovativo, lanciando una sfida sul terreno della mobilità sostenibile, della difesa dell’ambiente, dei diritti, della valorizzazione dei beni archeologici e culturali, nonché sul terreno della rigenerazione urbana, dicendo basta alla cementificazione. Abbiamo rimesso al centro delle nostre attenzioni le periferie, nella convinzione che Roma è tutta Roma e che la periferia non è la città negata, bensì è la città vera. Non si può chiamare periferia, infatti, il luogo dove vive la maggioranza dei romani. Perciò vogliamo che ogni periferia diventi un piccolo centro. A fronte della evidente scarsità di risorse, infine, servono idee. Anche a costo zero. Proprio per questo, nei prossimi giorni a Roma partirà un grande processo di partecipazione che attraverserà tutta la città e riguarderà proprio le periferie, quelle che finiscono sui giornali solo quando diventano teatro di scontri o contestazioni. Il 20 e 21 marzo alla Casa della Città daremo vita a #ideefuoricentro, due giorni di confronto sulle periferie e nuove centralità. Vogliamo discutere con associazioni, comitati, blogger, realtà territoriali, cittadini che hanno idee e progetti per costruire nuove politiche condivise, di cui sentiamo – in questa stagione di personalismi e di uomini soli al comando – un disperato bisogno.

*vicesindaco di Roma