La special relationship è viva e vegeta, lo dimostrano le foto di Theresa May e Donald Trump vicino al busto di Churchill, restituito alla sua legittima postazione nello studio ovale dopo che Obama lo aveva “irrispettosamente” dirottato altrove.

La breve conferenza stampa dopo la prima visita di Stato di May al neopresidente non ha contraddetto questa ovvietà. I due paesi sono fianco a fianco nella lotta al terrorismo e sullo scenario mondiale, ha reiterato May, anche se l’epoca dell’interventismo bellico-umanitario dell’Occidente è finito.

Sulla questione Nato Trump, inizialmente scettico, si è dimostrato svogliatamente favorevole, mentre la premier britannica ha invitato gli altri Stati membri a incrementare il proprio contributo alle spese militari, nel timore che gli americani siano stufi di pagare quasi tutto loro.

Alla ricerca quasi disperata di accordi commerciali che possano attutire l’impatto economico dell’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea sancita dal referendum dello scorso giugno, Theresa May è dunque andata in visita ufficiale a quella che da una settimana è la nuova sede della Trump Tower, cioè la Casa Bianca.

La figlia del pastore protestante e quello del moderno robber baron hanno personalità agli antipodi e ideologie coincidenti fino a un certo punto.

Mai poli opposti a volte si attraggono, ha scherzato May, che solo qualche mese fa definiva le politiche di Trump «stupide, divisive e sbagliate». Come da tradizione – a parte la doccia fredda, mesi fa, dell’incontro informale con Nigel Farage, primo politico inglese con cui Trump si sia intrattenuto dopo l’annuncio della vittoria – la premier britannica è stata il primo capo di Stato straniero a essere ricevuto dal neopresidente.

Con un obiettivo: girare un sequel della madre di tutte le soap neoliberali, quella fra Margaret Thatcher e Ronald Reagan che più di altri duetti di leader angloamericani ha ravvivato il culto della special relationship.

Un’alleanza che ormai già dal 1945 assomiglia più a una convergente sudditanza del vecchio impero in declino nei confronti del nuovo in ascesa, ben diversa da quella che il figlio di madre americana Winston Churchill aveva suggellato con Franklin Delano Roosevelt in chiave anti-totalitaria e ultra-liberale per meglio esportare l’egemonia degli English-speaking peoples (altro conio churchilliano).

Che possa oggi prosperare in un’epoca di turbolenza, frammentazione e delocalizzazione delle sfere d’influenza post guerra fredda importa più a May che a Trump.

La prima ministra britannica non può cominciare a negoziare gli urgenti accordi commerciali con gli Usa fin quando il regno Unito non sarà fuori dall’Ue. Ci vorranno anni.

La strada è in salita per i britannici. In uno scenario geopolitico in tumulto, mentre la superiorità economica e militare degli Stati Uniti di allora non è più tale, abbandonano il consesso economico europeo per chiedere un’intesa ancora più stretta con un alleato-cugino il cui nuovo leader è assai più diverso – politicamente e per temperamento – da May di quanto Reagan non fosse da Thatcher.

Stringere ulteriormente i rapporti fra le due economie sarà tutt’altro che facile, visto il cocktail a base di quello stesso mercantilismo – lo stesso contro cui Adam Smith lottò tutta la vita in economia – e di un farneticante sovranismo in politica che tanto hanno agevolato l’ascesa di Trump.

Che pare tragicamente immune dall’ideologia atlantista che ha caratterizzato la politica estera di contenimento via Nato della Russia nel nome di un più pragmatico e business-like approccio alla politica estera, alla luce del quale uno come Putin diventa un interlocutore addirittura preferibile.

Assunti del tutto diversi da quelli di Theresa May, rimasta l’unica leader a cantare le lodi della globalizzazione. Le differenze permangono anche e soprattutto a livello di politica estera: i due hanno posizioni assai diverse sulla Russia, sull’Iran, sui diritti umani e sull’Europa.

Vedremo se il pragmatismo e la ricerca implacabile dell’interesse nazionale di May arriveranno a neutralizzarne lo sdegno per la violazione dei British values di tolleranza e libertà da parte dell’ingombrante alleato.

In fondo, come ha detto May ad una convention repubblicana giovedì, è ora che i due paesi recuperino «il mantello della leadership».