Prendiamo tre tipi sfigati, uno ha perso il lavoro e si è ipotecato casa ma non ha il coraggio di dirlo alla moglie paralitica – sono Maurizio Mattioli e Paola Tiziana Cruciani, quest’ultima non si capisce perché sempre relegata a ruoli di anziana, nel cinema italiano altroché la bond girl cinquantenne di Monica Bellucci. Poi c’è la ragazza carina e dotata (Nicole Grimaudo) che però si sottovaluta e si macera in attesa del capoufficio ovviamente sposato che di dolcezza – lo scopriremo poi – non se ne fa nulla avendo un debole per il sadomaso.
E infine c’è la ottima madre e moglie dedita alla curia (Carla Signoris in questo film molto riuscita) che in realtà arde di sesso e scrive romanzi erotici testandoli con le sue compagne di lavoro in parrocchia.

Le leggi del desiderio, titolo che ammicca a quello almodovariano non riguardano però la sfera amorosa – anche – ma quella complessiva di ogni individuo nel rapporto, quasi sempre squilibrato, tra frustrazione per ciò che è e desiderio (appunto) di ciò che vorrebbe essere. Su questo gioca il nuovo film di Silvio Muccino, che ne è anche interprete e autore della sceneggiatura insieme a Carla Vangelista, punteggiato di ammiccamenti al presente – la rottamazione dei vecchi, pure se in pensione come il personaggio di Mattioli, non ci vogliono/possono andare – e suggestioni da fotoromanzo come la ragazza (il personaggio di Grimaudo) che vuole essere amata e sogna famiglia cinque figli e un fidanzato da esibire nelle sere familiari della vigilia di Natale.

Fino al luogo comune da quasi-barzelletta che le più focose sono le parrocchiane (Carla Signoris insegna). Ma a guarire tutto c’è il guru, una specie di Frank T.J. Mackey di Magnolia anche un po’ scientology un po’ life-coach (lo stesso Muccino coi capelli lunghi e l’abbigliamento post hippy) che tra talk show e best seller insegna a trasformarsi per essere invincibili… Che dire? Slabbratissimo e sbilenco, Le leggi del desiderio non è un film che fa arrabbiare, non ammicca alle formule di successo – alla «italiano medio» per capirsi – e anzi è così old fashion da risultare naif.

E ricoperta da patina antica è anche la commedia (battute incluse) con cui Muccino si cimenta forse perché i suoi personaggi non sono i soliti ragazzetto in cerca di «svoltare» inventando mestieri o espedienti di ogni sorta, ma sono per lo più persone grandi, «mature» si dice che nel cinema italiano trovano sempre meno spazio – fa piacere vedere Carla Signoris in una prova altissima – è senza dubbio la migliore del cast – nel doppio ruolo di irreprensibile segretaria del vescovo e Lady Stella darkissima scrittrice che fa sussultare cinquantenni e adolescenti.

Possiamo divertirci sfoderando cult e stracult, e anche se (ripeto) questo film non dichiara ambizioni irritanti – ma certo nemmeno sorprese chissà come eccitanti confinato da una sceneggiatura fin troppo semplicistica – ripensando all’esordio di Silvio Muccino, da sceneggiatore per Come te nessuno mai diretto dal fratello maggiore – viene da chiedersi cosa sia accaduto.

Peccato infatti che l’allegria vitale di quell’esordio si sia persa per strada nei suoi film da regista, e soprattutto la freschezza.
Quello che però apprezzo è la tenerezza con cui guarda i suoi personaggi (da qui la buona riuscita degli attori), e la sua voglia di mettersi in gioco pure in quella scassatissima sceneggiatura in cui il limite con la parodia di ciò che narra (magari consapevole) è fin troppo confuso.