Acclamato da gran parte della popolazione d’Israele come un eroe, celebrato come un soldato esemplare a un raduno con migliaia di partecipanti il mese scorso a Tel Aviv, il sergente Elor Azaria è apparso ieri nel tribunale militare di Giaffa sul banco degli imputati. Lo scorso 24 marzo a Hebron, Azaria ha ucciso a sangue freddo un assalitore palestinese, Abdel Fattah al Sharif, 21 anni, che giaceva a terra moribondo, non in grado di nuocere, che poco prima aveva accoltellato e ferito in modo lieve un militare. Eppure viene processato soltanto per omicidio colposo e comportamento improprio.

I vertici militari si aspettano la condanna del soldato, anche per non offuscare, soprattutto all’estero, l’immagine delle forze armate già al centro, diverse volte negli ultimi anni, di indagini internazionali per crimini di guerra (commessi a Gaza). «E’ un episodio di gravità eccezionale», ha spiegato l’accusa, «il militare ha sparato senza alcuna giustificazione su un terrorista già neutralizzato, in contrasto con le regole di ingaggio. Ha poi cambiato versioni, risultando non credibile». La destra al potere, al contrario, chiede l’assoluzione del militare, sull’onda dei sentimenti prevalenti nell’opinione pubblica. Tanti, troppi, israeliani – un sondaggio svolto a marzo da Canale 2 riferiva che il 57 per cento degli intervistati si diceva contrario alla sola idea di processare Azaria – sostengono che il sergente «ha fatto la cosa giusta» di fronte alla «minaccia terroristica palestinese». Ieri uno degli avvocati difensori, Ilan Katz, perciò ha accusato i vertici dell’esercito di volere influenzare a tutti i costi il lavoro del tribunale per ottenere una sentenza di condanna. L’agenzia online dei coloni israeliani, Arutz 7, ha denunciato non meglio precisate pressioni di ambienti politici (di sinistra) volte a prevenire l’assoluzione del soldato. Nei mesi scorsi lo stesso premier Netanyahu (che pure a marzo ha condannato Azaria), aveva difeso l’operato dell’Esercito in risposta alle (rare) critiche internazionali all’uso «eccessivo» della forza contro la nuova Intifada cominciata ad ottobre (in sette mesi sono rimasti uccisi circa 30 israeliani, due cittadini stranieri e almeno 200 palestinesi). Gran parte degli attentatori palestinesi responsabili di accoltellamenti, anche solo tentati, sono stati uccisi sul posto.

L’esecuzione sommaria dell’assalitore (che aveva agito con un altro palestinese) fu filmata da un attivista di B’Tselem, il centro israeliano per i diritti umani nei Territori Occupati. Le immagini mostrano Azaria che, diversi minuti dopo il ferimento con un coltello di un soldato, avanza verso il palestinese responsabile dell’attacco già a terra, immobile, gravemente ferito ma ancora vivo. Quindi prende la mira da una distanza di un paio di metri e gli spara alla testa uccidendolo sul colpo. Inizialmente fu comunicato che i due attentatori erano stati entrambi uccisi subito. Poi le autorità militari fecero retromarcia quando B’Tselem postò il video in rete. Arrestato, Azaria giustificò il proprio operato col timore che il “terrorista” nascondesse un corpetto esplosivo e per impedire al palestinese di impossessarsi di un coltello. Una versione smentita anche da nuovo filmato, messo in onda domenica sera da una tv israeliana, che mostra come il coltello di cui parla il soldato sia lontano e il palestinese, peraltro immobile, non è in alcun modo in grado di raggiungerlo.

Elor Azaria, alla luce di ciò che mostrano le immagini, dovrebbe essere condannato per omicidio premeditato. Ma questo è un caso politico, con la destra israeliana e buona parte dell’opinione pubblica che vedono in questo processo la rottura di una tacita intesa collettiva: agli accoltellamenti veri o apparenti, tentati o realizzati dai palestinesi si risponde con il massimo della forza, subito, senza esitazione. Il “tema” potrebbe dominare un altro ipotetico processo alle due guardie private che dieci giorni fa hanno ucciso al posto di blocco di Qalandiya, tra Hebron e Gerusalemme, i fratelli Maram (incinta) e Ibrahim Abu Ismail. La prima versione ufficiale riferiva del lancio di un coltello contro i soldati. Le cose sono cambiate dopo che il padre degli uccisi, e il quotidiano Haaretz, hanno chiesto, sino ad oggi invano, la pubblicazione del video girato dalle telecamere di sorveglianza. La stessa polizia, riferiscono i media locali, ora dubita che Maram e Ibrahim avessero messo in alcun modo in pericolo soldati e guardie di sicurezza a Qalandiya.