Nell’attuale crisi di civiltà a cui stiamo assistendo non sembra che discutere della fine delle istanze patriarcali sia più sufficiente. Sebbene la libertà femminile abiti da tempo altri luoghi simbolici, è pur vero che le logiche misogine e monosessuate presenti nelle istituzioni politiche e culturali partecipano di un certo panorama asfittico contemporaneo. Il ripensamento dovrà dunque essere intero oppure continuerà a mantenersi inefficace, parziale e deludente. Ciò che deve sostanziarsi è una «conversione trasformatrice», laddove per conversione si intende una totale sovversione che possa indicare l’origine, politica e di civiltà, su cui interrogarsi. È pur vero che la rivoluzione femminista ha definitivamente manomesso il sistema patriarcale ma c’è da aggiungere che oggi «nessuna riforma darà buoni frutti se non si riprendono dalla radice i motivi e le pratiche con cui rendere immaginabile una nuova convivenza».

Il sesso dello Stato

È con questa presa d’atto che si apre il nuovo, splendido lavoro di Annarosa Buttarelli, pubblicato in questi giorni per Il Saggiatore e dal titolo eloquente: Sovranità. L’autorità femminile al governo (pp. 240, euro 18; l’autrice sarà presente al Festivaletteratura di Mantova il 7 settembre nell’incontro «Alle radici di una nuova convivenza» con Stefano Rodotà e Marina Terragni, ore 15, Archivio di Stato). La proposta politica è precisa e arriva immediatamente al punto, arricchendo a questa altezza la riflessione intorno alla sovranità. Infatti «l’autorità a radice femminile origina una pratica della sovranità capace di sovvertire la sua concettualizzazione consueta e le conseguenze sul piano istituzionale». L’idea di sovranità su cui si concentra il discorso di Buttarelli ha già espunto il modello dell’assolutismo monarchico insieme al meccanismo della rappresentanza e quello dello Stato-nazione. Avanza così un percorso che in Sovrane si costruisce incarnandosi in una genealogia di donne esatta e imprevista. La sovranità è il modo scelto per muoversi dentro una «storia vivente» e i suoi interstizi germoglianti. Raccontare ciascuna delle loro storie è la possibilità di vedere all’opera l’autorità femminile ulteriormente specificata: «filosofia radicale a tutti gli effetti e di qualità elevatissima, distillata dalla paziente ricerca e dalla distanza, sempre marcata storicamente, rispetto all’idea che il potere e le sue istituzioni siano tutto e possano tutto».

Traversando il contributo di alcune pensatrici, da Nicole Loraux a Carole Pateman passando, tra le altre, per Maria Zambrano e Simone Weil, Annarosa Buttarelli illumina in tal senso la signoria di Cristina di Svezia, Elisabetta I d’Inghilterra, Elisabetta del Palatinato, Ildegarda di Bingen, Anna Maria Ortese e infine delle Preziose. Il significato relazionale dell’autorità non si può riferire al concetto di rappresentanza, semmai ad un modo che conduca verso una ri-presentazione «già da sempre» esistita. La sovranità capace di dislocazione dal potere è quella che non vuole impadronirsi del mondo eppure lo sa governare. Se è vero ciò che suggerisce Iris Murdoch, «è un compito vedere il mondo così com’è», sarà opportuno – per innescarne il riorientamento – poter affilare quel vedere in un movimento ascendente che dia conto dell’incontro tra donne e uomini in relazioni di differenza.

Due sono però le esperienze di autorità sulle quali il libro si sofferma: la prima è quella delle operaie tessili di Brescia che, a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta, affrontarono la crisi della fabbrica in cui lavoravano rifiutando la rappresentanza sindacale di categoria e facendosi così carico per prime delle trattative; un esercizio politico importante mai separato dal tessuto relazionale che le sosteneva tutte, l’una per l’altra. La seconda pratica è invece stata messa in scena a Ostiglia tra il 1991 e il 2004, quando Graziella Borsatti venne eletta sindaca del comune nel mantovano. Il dato che allora fece la differenza fu lo smantellamento del simbolico della rappresentanza e l’avvio di una «comunità governante», felice espressione suggerita dalla stessa Annarosa Buttarelli alla sindaca.

Il potere delle relazioni

L’arretramento del potere davanti all’autorità femminile era dovuto ad una rete di relazioni e ad uno scambio simbolicamente proficuo che ha potuto governare una comunità – nel suo stesso farsi governante. Non si era nei pressi della parità – concetto che dispone la trappola nello stesso terreno avvelenato da cui si pretenderebbe di smarcarsi – ma accanto al senso di un verticale rivolgimento. Ciò che interroga anche oggi dell’esperienza di Ostiglia è la faccenda aperta dell’abbandono del dettato ideologico dell’apparato partitico che ha sospinto il lavorio della sindaca, e di donne e uomini in relazione con lei, più in là dell’ostacolo consentendo una «stagione del buongoverno». Se ci si concedesse alla sapienza di una cosmologia politica dettata dall’autorevolezza delle relazioni si potrebbe «disfare il potere senza rinunciare alla responsabilità politica»? Sì, avendo tuttavia la capacità di mantenerne l’intento nel tempo. Certo si lambirebbe forse il nodo di quella crisi delle istituzioni politiche a cui si cerca, inutilmente, di mettere delle pezze con proclami più o meno percorribili ma pur sempre sterili. Quanto sarebbe utile, oltre che efficace – per donne e uomini – prendere esempio dalle buone e possibili pratiche di sovranità a radice femminile? Come chiosa Buttarelli infatti le si può ripetere ogni volta che si renderanno necessarie. Quel che è più difficile è apprenderne il segno, consapevoli che non è mai una questione di trono ma di postura.