Nel decennale della nascita del manifesto, era il giugno del 1981, a inaugurare la serie delle «maggiorate» (le copertine) furono le care, vecchie mille lire. I giornali costavano 400 lire, noi ne chiedevamo 1000 contro lo stop alla legge dell’editoria.

Di anni, poi, ne dovettero passare altri sedici (dicembre ’97) per fare il grande salto andando in edicola a 50 mila lire, con il bel titolo che i lettori più stagionati sicuramente ricordano: «Cara libertà». 50 mila lire che, scrisse Luigi Pintor, a qualcuno servono per «accendere il sigaro» ad altri per «campare una settimana». Poi nell’estate del 2006 furono 4 numeri a 5 euro e, due anni dopo, dicembre 2008, ecco di nuovo campeggiare in prima pagina il numero 50, solo che le lire sono morte da un pezzo e quel 50 sta per 50 euro.

Per i nostri lettori un’esperienza spericolata, come spericolata, ma al ribasso, fu quella che ci portò a scegliere di festeggiare il compleanno del 28 aprile 2011 vendendo il manifesto a 50 centesimi. E in mezzo un bel 10 (10 euro il 28 aprile del 2009 per i nostri 38 anni).

Giovedì prossimo inauguriamo il 20: venti euro destinati all’acquisto della testata quando, a fine anno, i liquidatori la metteranno all’asta.

È la scommessa più importante di tutte perché la testata, e la cooperativa che ogni giorno la rimette al mondo, sono una cosa sola, e ve lo immaginate il «quotidiano comunista» con un editore diverso dai lavoratori che lo scrivono e lo producono? Sarebbe la fine di una parte importante della sinistra italiana. Che proprio in questo momento deve essere viva, larga, unita, propositiva, tenace.

Molta acqua e anche molto sporca è passata sotto i ponti della politica e della società italiana. Il nostro vascello pirata ha evitato scogli e paludi.

Ora sta anche a voi, care lettrici e cari lettori, aiutarci soffiando un po’ di vento nella nostra, comune, impresa.