Aldo Giannuli è storico e ricercatore all’Università degli studi di Milano, ha lavorato come consulente per le Commissioni stragi ed è autore di numerosi volumi. Viene da sinistra, eppure è stato consigliere di Gianroberto Casaleggio, ha svolto alcune attività di formazione dentro al Movimento 5 Stelle (è stato lui, ad esempio, a spiegare ai parlamentari grillini i sistemi elettorali quando si trattava di affrontare quel tema). Ha accettato di parlare sugli accadimenti romani e sulle conseguenze dentro ai 5 Stelle.

Per cominciare, gli chiediamo se il caos di questi giorni si sarebbe verificato se fosse ancora in vita Gianroberto Casaleggio. «Molto probabilmente no – risponde Giannuli – Tutta questa vicenda mette in luce soprattutto le debolezze dei singoli, più che del M5S in quanto tale. I parlamentari non reggono la tensione, diventano molto litigiosi quando si sentono sotto attacco. Ciò si traduce nell’aumento della conflittualità interna. Non si tratta di correnti, come sbagliando hanno scritto in molti anche in questi giorni, ma banalmente di pollaio».

Come affrontava questioni del genere Casaleggio?

Gianroberto interveniva in queste situazioni ed era decisivo. Indubbiamente lo faceva in maniera autoritaria, quasi dispotica. E io gli contestavo questo atteggiamento troppo decisionista. Ma di sicuro otteneva l’effetto di fermare il pollaio. Anche Beppe Grillo cerca di farlo, ma a differenza di Casaleggio non possiede il senso dell’organizzazione.

E Davide, il figlio di Gianroberto che ne ha ereditato le funzioni?

Davide è una testa fina, ma non ha l’autorevolezza del padre. Inoltre, ha ereditato alcuni dei difetti di quest’ultimo. Ad esempio, Gianroberto non sapeva pianificare il lavoro. Affrontava una questione per volta, trovandosi a dover gestire alcuni passaggi all’ultimo momento. Poi però arrivava il colpo d’ala, il tocco di genio, anche quella punta di follia che lo salvava. Senza di lui, nessuno spicca particolarmente dentro il Movimento 5 Stelle. È per questo motivo che tutti si sentono autorizzati ad intervenire.

Cosa è accaduto a Roma?

Ho l’impressione, anzi il timore, che a Roma sia intervenuta un’influenza esterna al Movimento. Non voglio usare l’espressione «infiltrati», ma di certo qualcosa che non appartiene al M5S ha agito. Quando parlavo con Gianroberto cercavo di spiegargli che una classe dirigente non si improvvisa, che ad esempio non si possono scegliere i candidati online. Lui non comprese che per capire una persona bisogna guardare come si veste, che stile di vita conduce, dove fa compere, come si comporta fuori dai riflettori. La selezione online invece ha il limite di farti vedere la gente per come vuole apparire, non per come è realmente. Su questo non ci siamo mai capiti.

Cosa le fa pensare che a Roma ci siano state pressioni e influenze esterne?

Basta guardare a quello che è successo in campagna elettorale, quando sono circolati dossier per ostacolare la corsa di alcuni candidati. Quella roba non poteva venire da persone interne, non fa parte del Dna del M5S.

Molti ritengono che il M5S non possa negare il proprio simbolo alla maggioranza di Virginia Raggi, perché ciò avrebbe conseguenze distruttive. Al contrario, lei ha scritto che questa mossa non è da escludere. E che rappresenterebbe un duro colpo ma non necessariamente un disastro assoluto. Perché?

Esatto, non penso che l’uscita di Raggi dal Movimento 5 Stelle rappresenterebbe un tracollo su scala nazionale. Sarebbe una ferita destinata a rimarginarsi. Vede, questa non è una storia soltanto italiana. Il crollo delle élite è un fenomeno strutturale, che investe tutto l’Occidente. Non è possibile che una bega singola possa eliminare il sintomo di questa crisi. Ci sono interi pezzi di società, settori sempre più sostanziosi, che sono scontenti e vogliono protestare. Gli elettori sanno benissimo che i 5 Stelle non sono preparati, ma usano questo strumento per dire che non ne possono più. Non c’è un’alternativa alla protesta, il M5S continuerà ad esistere per questo motivo.

Ma se dovesse emergere qualcos’altro?

Ecco, diciamo che il Movimento 5 Stelle comincerà a declinare soltanto quando emergerà un altro movimento, più radicale magari.

Quella che lei chiama «ostilità verso le élite», all’estero produce fenomeni regressivi, come Donald Trump, ma anche tentativi di usare il dispositivo populista «da sinistra». E invece i grillini sono entrambe le cose, questa è l’anomalia.

Più che «né di destra né di sinistra» l’M5S è «sia di destra che di sinistra», sia per le posizioni che assume sia per le culture che ci sono al suo interno, c’è un po’ di tutto. Tenta di occupare tutte le posizioni del malcontento, dai migranti alla finanza, per paura di perdere elettori. Anche se bisogna dire che quando la base venne consultata sul tema dello ius soli si espresse contro le posizioni segregazioniste.

E tuttavia la base è soltanto una minima parte dell’elettorato grillino…

È vero. Ma i partiti di sinistra dovrebbero mettere da parte diffidenze e rancori e dialogare con questa gente. Gramsci avrebbe parlato di egemonia. Il Movimento 5 Stelle è anche il prodotto della capacità degli altri di influenzarlo. Molti a sinistra pensano che se non ci fosse il M5S prenderebbero un sacco di voti, cosa che non è affatto vera. Non è affatto detto che i partiti di sinistra sarebbero in grado di rappresentare quella protesta. Per questo non è colpa del M5S se la sinistra non prende voti. In questi casi non guasterebbe un po’ di autocritica.

Non è diverso per i movimenti sociali? Il M5S non si sostituisce a loro spostando su un altro terreno il dissenso?

In questo caso, tendenzialmente, è così.

Come cambierà il M5S dopo i fatti di Roma?

Se Raggi non continua con gli strappi, tutto rimarrà congelato e coperto fino al referendum. Fino a quel momento si tirerà a campare senza toccare nulla. Se al referendum dovessero vincere i no, i 5 Stelle avrebbero l’automatismo di pensare che vinceranno le elezioni. Errore clamoroso, perché le elezioni possono vincerle soltanto con l’Italicum, e la legge elettorale molto probabilmente verrà cambiata. Senza doppio turno non vinceranno mai. E sono mesi che dentro al M5S sono invece convinti di vincere le elezioni.

Verrà sostituito il direttorio?

Quello che chiamiamo «direttorio» ha molta meno importanza di quanto si dica. Gianroberto me ne comunicò la creazione, nel novembre del 2014, citando ironicamente il direttorio della Rivoluzione francese. Quell’organismo serviva in quella fase precisa a creare un punto di raccordo tra lui e il gruppo parlamentare, che pareva ingestibile e abbandonato a sé stesso. Oggi Gianroberto non c’è più e sono cambiati di molto i termini di quell’accordo. Quella situazione di compromesso non ha più motivo di essere. Aggiungo anche che la composizione stessa del direttorio era un po’ dettata dal momento, ci sono 4 campani, un romano, non ci sono senatori e solo deputati. Non è rappresentativo neppure dei gruppi parlamentari. Quel tempo è finito da un po’, non esistono più le condizioni perché il direttorio per come lo abbiamo conosciuto continui ad esistere.