La festa della Liberazione dal nazifascismo è sempre stata l’occasione per tornare alle più forti e amate radici della nostra democrazia nascente, della nostra Costituzione. Facendoci largo nella retorica nazionale sulla Resistenza, tanto più assordante quanto più svuotata della sostanza, è un’occasione per cogliere le differenze politiche, culturali e storiche presenti nel nostro paese. Ma questo 25 Aprile, che resta vivo nelle piazze, ha evidenziato ancora di più le distanze, anche se in modo radicalmente diverso dal passato.

Negli ultimi venti anni l’antifascismo è coinciso in larga parte con l’antiberlusconismo, anche perché l’uomo di Arcore aveva sdoganato figli e nipoti del vecchio Msi, e prima di presentarsi a Onna con il fazzoletto tricolore dei partigiani, aveva disertato e svilito il significato della ricorrenza.

Oggi qualcosa è cambiato, perché la situazione politica che ha portato al governo del Presidente (o di scopo o di servizio…) ha rotto lo schema classico antifascismo-antiberlusconismo. Che rimane invece saldamente in mano al partito di Vendola, mente sfugge dalle opzioni del Pd (condizionato dalle larghe intese), per depositarsi tra le larghe braccia movimentiste dei grillini. Di Grillo si può dire di tutto, tranne che gli manchi fiuto politico. Nel suo elenco di riferimenti alla “morte del 25 Aprile” cerca di pescare tra i sentimenti e le opinioni della sinistra, tradizionale e non solo, per sottolineare la diversità tra il M5S e il resto del mondo (politico). Il suo “catalogo resistenziale” è gonfio di cattiva retorica e di vere sciocchezze. Tuttavia è indubbio che l’elenco colpisce al cuore una fetta dell’elettorato del Pd. E ha un bel dire Napolitano, dal museo di via Tasso, del coraggio e del senso dell’unità della Resistenza. Parole importanti che segnano la storia italiana dal 1945 in poi, e che, proprio per questo, non dovrebbero essere usate per mettere la camicia di forza al parlamento e alla democrazia. I richiami del Capo dello Stato fanno a pugni con la realtà che oggi vede il Pd unirsi a Berlusconi, e i militanti costretti a baciare il rospo.

Per il partito che ancora raccoglie la maggioranza degli elettori della sinistra sono i giorni più difficili dai tempi della Bolognina. Le occupazioni delle sedi, le assemblee infuocate e le nuove iniziative  annunciate (come quella di martedì prossimo a Bologna con Landini, Cofferati, Barca e Rodotà), dicono che l’iceberg del dissenso interno è già emerso. Solo che nessuno può sapere quale strada prenderà. L’unico collante interno può essere la paura di nuove elezioni, perché da un voto il Pd potrebbe uscirne davvero con le ossa rotte, assaggiando le percentuali da Pasok, diventando la terza forza politica italiana. E noi tutti ritrovarci di fronte a un centrodestra berlusconiano ancora vincente. Un disastro per il paese. Ma quale sarebbe allora l’alternativa?Un governo con il Pd prigioniero politico, condannato a un’alleanza propedeutica al suo funerale, con nemmeno più la faccia del morto?

Un fatto è sicuro: per Letta (Enrico) saranno ore e giorni molto difficili, legati alla corda di Berlusconi. Chi lo ha incontrato lo ha visto comprensibilmente terrorizzato. E’ in un gioco più grande, molto più grande, di lui. Le sue stampelle di partito sono fragili, pronte a spezzarsi in qualsiasi momento.